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Il Club del libro di giardinaggio.it!!

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Picantina

Fiorin Florello
Preferisco comprarli i libri, nell'eventualità mi venisse voglia di rileggerli e perchè se a malapena ricordo il titolo, di sicuro dimentico l'autore, non saprei poi come recuperarli. Quindi "l'ombra del vento" l'ho comprato.

A dire il vero mio marito mi ha iscritta a Euroclub, ho l'obbligo dell'acquisto. Approfitto allora delle recensioni del mio forum (e unico) preferito:eek:k07:
 

daria

Master Florello
La Casa ha deciso.


“Dobbiamo intervenire noi.”
“Sì, sono d’accordo, ma che cosa potremmo fare?”
Pennarello fece un giretto su se stesso e tracciò un piccolo punto interrogativo tra gli scarabocchi che Linda seminava sulle cartacce di appunti accanto al Telefono.
Matita lo guardò sconsolata. “Proviamo a lasciarle un messaggio”.
“Sì, poi magari le viene il sospetto che ha in Casa qualche fantasma e scappa via lasciandoci tutti qui. Sai che voglio bene a Linda e non farei mai nulla che possa spaventarla. E poi nelle condizioni in cui si trova...”
Matita agitò pian piano la punta in direzione della donna che stava entrando nella stanza. I due oggetti rimasero immobili sul Tavolo osservando zitti zitti i movimenti veloci delle grandi mani di Linda sulla Scrivania. Ad un certo punto Pennarello si sentì afferrare. Trattenne il fiato e chiuse gli occhi. Era stato sollevato in alto, pronto per essere scaraventato lontano.
Linda non si era mai comportata in modo violento. Fino a quel momento. Pennarello fu lanciato contro Matrioska che colta di sorpresa cadde dalla Mensola, si aprì e gettò fuori un paio delle sue figliole che stavano riposando.
“Chisda mati!” Matrioska, furente, cercò di rotolare verso le sue bambine per tranquillizzarle: una di loro aveva perso una crosticina di colore sulla fronte e stava per iniziare a piangere. Fortunatamente riuscì a rimanere in silenzio mentre la metà superiore di sua madre la sfiorava amorevolmente con piccole oscillazioni appena percettibili.
Pennarello era finito sotto il Letto e non fu raccolto. Linda nel frattempo uscì di Casa sbattendo la Porta.
Sulla Stanza scese un silenzio sbigottito e inconsueto.

***


Era passato un mese da quell’esordio e il carattere di Linda era andato peggiorando in maniera davvero allarmante.
Matita era stata presa a morsi e gettata nella spazzatura: si era salvata solo grazie all’aiuto dei suoi amici di Scrivania che, tutti insieme, avevano rovesciato il Cestino, tirandola fuori e nascondendola dietro l’Armadio.
Ma la sorte più triste toccò a Tazza a Pois e Piatto Blu che furono frantumati l’una contro l’altro, mentre Cornice d’Ottone fu addirittura calpestata sotto i piedi e la Foto di Mario (il marito che Linda aveva lasciato da sei mesi) strappata via e fatta in mille pezzettini.
Gli altri oggetti avevano iniziato a subire a turno vessazioni di ogni tipo: Scendiletto veniva calciato nervosamente ogni mattina, una Giacca di Mario rimasta nell’Armadio fu ridotta a brandelli col Trinciapollo, Block Notes torturato sistematicamente con profonde e dolorose incisioni fatte abusando crudelmente di Penna Biro, per non parlare dell’Orsetto Toby che dopo essere stato ripetutamente lanciato contro le pareti si scucì e cominciò a perdere imbottitura da una spalla e dal popò.
La pazienza della Casa perdurò ancora per due mesi finché, dopo l’ennesimo efferato assassinio – al Puntaspilli Torquato era stata strappata la testa a unghiate – tutti decisero che era arrivato il momento di risolvere la questione, una volta per tutte.
La data dell’assemblea fu fissata a martedì 25 febbraio, ore 3.30 in punto, nello Studio.
Dal Bagno sarebbero arrivati la signorina Spazzolino col suo Dentifricio di turno, la Cucina avrebbe mandato Tovagliolo e Forchetta, mentre Sveglia e Cuscino impossibilitati ad intervenire - per ovvi motivi - avevano incaricato una delegazione composta dai gemelli Lacci di Scarponcino e Cellulare. Dal Terrazzo erano stati convocati Molletta da Bucato e il cugino Mocio.


***

“Forza gente, andiamo....sssssttt..... fate piano... fate piano, non vorrete mica svegliarla?!” I due Lacci serpeggiavano nel buio dei corridoi chiamando a raccolta i compagni.
Gli oggetti convocati cominciarono a dirigersi verso lo studio, ordinatamente suddivisi in scaglioni che procedevano stando ben attenti a passare sui Tappeti per attutire ogni fruscìo prodotto dal movimento.
Il piccolo drappello si arrestò davanti alla Porta chiusa dello Studio.
“Ossignùr! È chiusa a Chiave! Quella stupida s’è dimenticata della riunione e sta ancora dormendo.” Cellulare si voltò verso i compagni preoccupato. “Bisogna salire a svegliarla”.
“Ci pensiamo noi!” I gemelli si sollevarono all’unisono e con una serie di girali sinuosi si mossero verso la Porta e iniziarono a scalarne la parete fino alla Chiave.
“Sveglia Chiave! Su.... sveglia dormigliona! Scattare... scattare!” Le sussurrarono all’orecchio. Avevano il fiatone per l’arrampicata.
“Che c’è? Ma vi pare l’ora questa di venire a rompere...... Oh passepartout!! Scusate...”
Clackt.
“Ffffff...finalmente...” sussurò Porta aprendosi adagio.
Le delegazioni sfilarono in quasi totale silenzio fino ad arrivare ai piedi della Scrivania dove era già in attesa impaziente la rediviva e smangiucchiata Matita, insieme a Pennarello e Taglierino. Lampada da Lettura – che tutti chiamavano confidenzialmente Lucciola – si accese e indirizzò un raggio pallido e discreto sul gruppetto di colleghi.
“Grazie a tutti, amici. Questa riunione straordinaria è stata convocata per discutere un problema della massima importanza. Credo che voi tutti sappiate cosa intendo...” Matita si guardò in giro: tutti annuivano.
A quel punto Cellulare prese la parola per fare agli altri il punto della situazione.
“Ho ascoltato l’ultima conversazione fra Linda e il suo medico. Era molto preoccupato. Le sue reazioni violente sarebbero legate ad un sentimento di rabbia ancora molto potente nei confronti di Mario. E’ a lui che Linda sente di addebitare il fallimento del loro matrimonio e della sua carriera di disegnatrice. Quel dolore le ha fatto perdere il lavoro, gli affetti, tutto quanto... E’ sola ormai, a pezzi, e per rivalsa fa a pezzi quelli che le sono rimasti accanto. Noi.”
“Ammazziamola”. Tagliò corto – come era abituato a fare – Taglierino.
“Oh noo! Io e Matita vogliamo troppo bene a Linda. Noi l’abbiamo perdonata. E’ in una situazione tremenda, dobbiamo aiutarla invece!” Pennarello non riusciva a credere che fosse stata avanzata una simile proposta.
“Guavda come ha vidotto il mio Dentifvicio” rispose acidamente la Spazzolino. Il tubetto le stava a fianco, sorreggendosi sbilenco e tentando malamente di sorridere. Il suo corpo era segnato da impronte di denti e mostrava le ripetute torsioni subite che avevano provocato gravi ferite, suppuranti pasta azzurra al mentolo.
“Non si fevmevà, state tvanquilli! Io sono d’accovdo con Taglievino. Ammazziamola.” Spazzolino era al parossismo. Dentifricio guardò la sua amichetta con tristezza rassegnata ed annuì silenziosamente.
“Ma insomma, cara, non vogliamo darle un’ultima possibilità? In fondo la condizione di Linda è difficile... e... e... il suo comportamento non è deliberato. Ecco.” Pennarello cercava di avviare la conversazione su un fronte meno drastico.
“Ha ragione”, rispose Molletta, “dobbiamo cercare di aiutarla, dobbiamo: in fondo siamo gli unici amici che le sono rimasti dopo la sua totale chiusura al mondo. Io non capisco come possa essere accaduto, come possa.”
“Era una ragazza cofì dolce e affettuofa e bella e fimpatica” sospirò Mocio, arricciando le striscine lise.
“Basta, basta. Ammazziamola. Se non lo facciamo presto sarà lei ad ammazzare noi. Ci farà fuori uno dopo l’altro. Ve lo ricordate Puntaspilli? E Toby? Non riesce più neanche a trascinarsi sulle zampe per quanta imbottitura ha perso. Il suo Toby! Erano inseparabili. L’Orsacchiotto di quando era bambina. E adesso? D’oh! Ma avete visto come lo riempie di botte? Oggi pomeriggio gli ha fatto persino saltare un occhio. Eccolo qui! Guardate...”
Uno dei due Lacci, che aveva appena parlato, avvicinò con un colpetto di coda un bottoncino nero e lucido, portandolo all’attenzione dei convenuti.
Tutti si ritrassero orripilati.
“Lo abbiamo pescato sotto Tappetino. Così non può funzionare.”
“Io sono d’accovdo con i Lacci e con Taglievino, ecco!” ribadì Spazzolino seguita dal suo muto compagno.
Tovagliolo e Forchetta nicchiavano. Il dibattito era ben lungi da una qualsiasi decisione.
All’improvviso la Porta si spalancò. Lampadario fu acceso violentemente e proiettò tutta la sua luce spaventata sul gruppetto di oggetti riuniti alla base della Scrivania e impietritisi all’istante. Lucciola fu presa da un inarrestabile tremolio.
Linda era lì a sovrastarli, incredula e sempre più arrabbiata.
“Maledetti!” gridò prendendo a calci quelli che le si trovarono più a tiro.
Mocio e Forchetta volarono in aria. Poi Linda afferrò Forchetta: “Come diavolo sei finita qui? E questi?”
Altro calcione sferrato a Dentifricio poi, impugnando Taglierino, si mise a stracciare Tovagliolo con veemenza inaudita.
Il tubetto le era ricaduto accanto alla Pantofola. Linda ci mise meno di un secondo a schiacciarlo con tutta la forza che aveva, sotto i piedi, saltando e saltando. Dentifricio scoppiò miseramente, schizzando il suo contenuto sul Tappeto.
Dopo quell’esplosione di violenza, durata pochi minuti, la donna si fermò, trafelata e sorrise. Aveva scaricato tutta la rabbia montatale alla vista di quelle cose che aveva trovato inaspettatamente raccolte nel suo Studio.
“Sto impazzendo” si disse sghignazzando “Oppure è ora che cominci a tenere questo porcile di casa un poco più in ordine”.
Con uno sbadiglio sgarbato uscì dalla stanza, spegnendo l’Interruttore con una manata.
Gli oggetti giacevano sparpagliati, qualcuno era atterrato sul Pavimento, qualcun altro sul Tavolo. Dentifricio, ormai morto, era steso in mezzo alle sue stesse viscere azzurrine, sotto gli occhi disperati della povera Spazzolino, mentre i pezzi di Tovagliolo erano finiti ovunque, persino sui ripiani più alti della Libreria.
“Facciamola fuori.” Ringhiò Taglierino, rizzandosi di scatto e battendo con la lama un colpo a terra.
“Sì. Dicci cosa dobbiamo fare.” Risposero gli altri rivoltosi all’unisono. Matita e Pennarello si unirono a malincuore, sperando ancora di poter evitare la tragedia.


***

...continua
 

daria

Master Florello
“Hai sentito?? La uccideranno stasera!” Matita si muoveva intorno, rotolando nervosamente sulla scrivania, ora da un lato ora dall’altro.
“La Casa ha deciso.” Rispose con un sospiro mesto Pennarello.
“Ma come la Casa ha deciso? Deciso cosa? Questa non è la soluzione! Non abbiamo voluto trovarla una soluzione! Queste sono le soluzioni degli umani non le nostre! Ci stiamo comportando come loro. Invece di aiutarla abbiamo deciso di eliminarla, ti rendi conto? Non è la nostra natura! La nostra natura è quella di aiutare. Siamo stati creati per questo. Aiutare! Io non ci sto!”
“La Casa ha deciso, mia cara Matita. Ha deciso.”
Pennarello le si avvicinò piano piano e la toccò per calmarla. “Chissà, forse all’ultimo momento qualcuno dei più agguerriti si tirerà indietro e non se ne farà nulla. Ma io obbedisco alle decisioni comuni. Che altro possiamo fare?”
“Già. Che altro possiamo fare?”

Il piano era stato architettato nei minimi particolari. Sarebbe sembrato un suicidio. Lacci, Forchetta e Taglierino furono nominati come esecutori materiali.
Ad un segnale convenuto i Lacci si sarebbero annodati per far cadere Linda a terra: Forchetta le sarebbe saltata in faccia penetrandole in un occhio poi Taglierino l’avrebbe finita, tagliandole la gola di netto.
Matita scarabocchiò nervosamente per tutto il pomeriggio, pensando e ripensando ad un colpo di mano, ad una possibile alternativa. Le venne in mente persino di scrivere tutto su un foglio perché Linda poi lo leggesse. Ma Linda era ormai talmente “oltre” da non riuscire a capire nemmeno di esser viva, figuriamoci leggere un messaggio simile e ricordarselo.
Nelle ultime settimane viveva in completo abbandono e fingeva di non essere in casa per non rispondere al telefono e per non ricevere visite da amici e parenti. Molti di loro avevano ormai rinunciato ad andare a trovarla: ogni volta era la stessa storia, pianti, urla, discorsi insensati e crudeli, un’infuriata disperazione che rendeva vano ogni sforzo di riconquistarne almeno un sorriso.
Diego, il suo ex, ci provò una volta sola portando con se un’agendina nera e sottile.
“Guarda Linda!” Le aveva detto con la sua solita aria svagata e giocherellona.
“L’ho trovata pochi giorni fa dentro una cabina telefonica, ci sono tutti numeri di sacerdoti ed esorcisti, c’è pure quello di Padre Amorth, che dici te lo chiamo?”.
Per tutta risposta Linda lo aveva buttato fuori di casa, spintonandolo in modo assai poco aggraziato.
“Le stiamo facendo un favore” mormorarono i Lacci mentre si disponevano all’attacco. Taglierino e Forchetta erano arrivati da un pezzo e mantenevano guardinghi la posizione sopra il Tavolo.
Linda diede un’occhiata all’Orologio e si alzò ciondolando per andare ad accendersi l’ennesima Sigaretta.
I Lacci dei suoi Scarponcini cominciarono ad annodarsi tra loro e – come previsto – la donna rovinò a terra. Forchetta si gettò dal Tavolo ma invece di colpirla si conficcò sul Tappeto e rimase in piedi vibrando.
Nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa Linda aveva afferrato la Fodera del Divano e l’Orsetto Toby che si trovava lì sopra le cadde addosso, fermandosi sulla sua faccia.
Fu allora che qualcosa in lei saltò via. Come un ingorgo improvvisamente rimosso.
Iniziò a piangere. Toby la fissava con l’unico occhietto rimasto e un malloppo di bambagia che usciva dallo strappo dell’altro.
“Perdonami Toby. Perdonatemi tutti. Aiutooooo.... vi prego aiutoooo”. Piangeva rimanendo immobile con l’orsetto in faccia, incapace di alzarsi.
“Sono stanca... stanca... stanca... aiutatemi, aiutatemi voi, tutti voi”.
Toby lentamente scivolò da un lato e le si appoggiò sulla spalla parandole la gola con il suo testone.
Dall’alto Taglierino, che era rimasto sul Tavolo a seguire la scena, si ritrasse e scomparve.
Cellulare compose il numero della mamma di Linda e tutti restarono in attesa, stringendosi in cerchio attorno a lei.


Shoofly
 

daria

Master Florello
Ulver


I passi dell'uomo si appoggiavano lenti sul tappeto di aghi di pino. Il freddo dell'autunno incomben-te aveva già congelato la terra al di sotto di esso, rendendola uno strato ruvido e duro. Similmente, il suo corpo era preso da un tremito pungente che non accennava ad abbandonarlo. Camminava lenta-mente, chino su se stesso, nel timore che alla minima scossa avrebbe potuto frantumarsi come un cristallo.
Stava iniziando a soffiare il vento della sera. Lo sentiva vorticare sopra le cime degli alberi, un sibi¬lo inclemente. La foresta lo proteggeva, offrendogli riparo coi suoi tronchi alti, rugosi, pervasi dal-l'odore intenso delle ultime gocce di resina.
Udì il fischio di un uccello, il suono breve e flautato di un altro, un grugnito in lontananza. Null'al-tro, oltre al fruscio impacciato dei suoi passi e al fiato grosso che gli montava in gola. Pensò, con un sorriso amaro, a quegli uccelli tropicali che possono permettersi il lusso di piumaggi sgargianti e concerti interminabili, poi più semplicemente all'esplosione di cinguettii, odori e sapori che si ani-mava a primavera nei boschi della sua infanzia; quello era il grande Nord del mondo, non ci si pote-va permettere nulla di superfluo. Perfino ai suoi sensi ormai affinati dalla lunga vita all'aria aperta, poche e rare erano le note che risaltavano. Gli venne in mente una melodia essenziale, radi arpeggi di chitarra, lenti e un po' tristi, punteggiata dai soffi di un flauto; il suono del Nord, racchiuso in una gemma.
Intanto, la giornata si accorciava. Il piccolo disco del sole era ormai scomparso dietro le fronde dei sempreverdi e gettava una velata luce arancione su quello scampolo di cielo che s'imbruniva. Lo stesso cielo sotto al quale s'agitava e si dimenavano città e nazioni dalle quali l'uomo era ormai lon-tano, non sapeva nemmeno quanto. Con ancora quella melodia nelle orecchie, fu percorso da un bri-vido e, di colpo, si sentì solo. Il crepuscolo nel Nord, ormai lo conosceva, era il regno delle ombre. Quella chiazza arancione che s'allargava nel cielo sempre più bluastro era come una pennellata su un quadro, una poesia bellissima ma fredda; non gli arrivava nulla di quel calore, non gli era di nes¬sun conforto. L'uomo camminava in un grigiore diffuso, quello che precede l'oscurità.

I lupi erano poco più avanti. Ogni tanto li perdeva di vista ma puntualmente ricomparivano dinanzi a lui, come se volessero farsi trovare. Svoltò dietro un grosso arbusto e li vide accampati in uno spiazzo alla base di un abete dalle grandi radici. La prima cosa che scorse, nella penombra, fu il brillare dei loro occhi penetranti, fissi su di lui. Si bloccò, con un respiro stanco. Una nuvoletta di vapore gelido si sollevò dalla sua bocca. Fino a quel momento, ogni tentativo di avvicinamento al branco era stato vano. Un paio di ringhi ben assestati erano sufficienti a tenerlo alla larga. Niente nell'atteggiamento di quegli animali lasciava intendere che fossero disposti ad accettare la sua com-pagnia, tuttavia non parevano avere nessun interesse nemmeno nell'attaccarlo e nello scacciarlo dai loro territori. Si limitavano ad osservarlo, a studiare quel bizzarro visitatore, troppo debole per esse¬re un cacciatore e persino per essere una preda. La vita del Nord è estremamente severa ma onesta, pensò, e seppur si sentisse a pochi passi dalla morte questo pensiero lo riempì di una fiducia nuova.
Di lì in avanti, gli rimasero poche riflessioni, nel freddo sempre più pungente. Continuò ad avvici-narsi ai lupi col passo lento e rassegnato di chi sa che non può fare altrimenti. Il branco era piccolo, formato da sei elementi. Percepirono qualcosa di nuovo, quell'improvvisa mancanza di esitazione nelle movenze dell'uomo, e drizzarono le orecchie. Iniziarono un ringhio sommesso, alcuni digri-gnarono i denti. Le loro zanne, come lame, brillavano bianche nell'ombra quasi fossero fantasmi, ma l'uomo procedendo a testa bassa nemmeno le vide. Si ritrovò, tremando, ai piedi del grande abe¬te. Scosso da un fremito si sentì cedere le gambe e crollò a terra. Accanto alla sua faccia la grossa radice che emergeva dal terreno gelido, sopra di lui la sagoma irta del lupo più grande, un maschio, che lo sovrastava con la schiena inarcata. Percepì il calore del suo fiato e la saliva che scendeva dalla sua bocca, e ne fu annebbiato. Ebbe appena il tempo di sdraiarsi, togliersi maldestramente lo zaino dalle spalle e rilassare i muscoli tesi, alzando il mento per mostrare al lupo il collo privo di difese.
La sua bocca lo addentò alla mascella, con una delicatezza difficilmente sospettabile. I denti pene-trarono il sottile strato della pelle e punsero l'osso. Stranamente, il lupo era silenzioso e non vi era frenesia nel suo gesto. Appena prima che si incrinasse, mollò la presa. Con un ultimo rantolo di lu-cidità, l'uomo si rese conto di essere ferito, che avrebbe avuto bisogno di medicazioni. Il maschio si allontanò; dopo pochi secondi un altro animale fu su di lui, e gli leccava il volto malandato.
Quella notte poté fare a meno della tenda e si tolse molti dei vestiti che indossava; dormì al caldo tra due pellicce.



...continua
 

daria

Master Florello
II


Per gli studiosi, l'uomo sarebbe stato il maschio omega, l'ultima ruota del carro, ma a lui questo non importava. Mentre camminava nella foresta, in un tiepido mattino d'autunno, le sue gambe deboli e pesanti scivolavano a più riprese sul muschio e faticavano a seguire la serpentina dei lupi fra i tron¬chi fitti e sottili di una giovane abetaia; tuttavia si sentiva leggero e capace di sopportare le marce più estenuanti. Si sentiva accettato, in un certo senso, con un suo ruolo particolare in quel branco di animali troppo intelligenti per non rendersi conto che in lui qualcosa non quadrava, eppure del tutto disinteressati alla differenza di specie.
Il lupo nero aveva per lui una intensa curiosità, ansiosa di trasformarsi in amicizia. Era il primo fi¬glio maschio della coppia, giovane ma già più alto e pesante del padre. Aveva il portamento nervoso di chi ha ancora tutto da dimostrare e due occhi azzurri, glaciali, che spesso cercavano i suoi piccoli e castani. Durante il giorno non faceva che annusarlo e alla sera, quando erano sdraiati in un riparo tra gli alberi, lo stuzzicava con la zampa e poi si girava sul dorso, puntandolo col naso e guardando¬lo a testa in giù. Talvolta guaiva, quasi impercettibilmente, e si drizzava sulle zampe pronto a coin-volgerlo, forse, nel gioco. L'uomo temporeggiava, combattendo quella parte di lui ansiosa di lan¬ciarsi sull'erba; tentava ancora di assolvere l'arduo compito di non dimenticarsi le sue origini. Rima¬neva seduto, accanto ai due cuccioli, i figli più giovani, che lo fissavano con gli occhi grandi senza concedergli troppe confidenze.

Il branco stava inseguendo un giovane cervo che erano riusciti ad isolare, e tentavano di sfiancarlo prima di attaccarlo. La preda doveva essersi improvvisamente avvicinata, perché i lupi partirono ad un veloce trotto, lasciando l'uomo ad arrancare dietro le loro orme. Si trovò solo e spaventato per la prima volta dall'idea di perdere il contatto si mise a correre a perdifiato, senza tuttavia avvicinarsi di molto agli animali. Col respiro ingrossato dalla corsa, l'odore penetrante della resina entrò nelle sue narici insieme quello del legno che asciugava l'umidità ai raggi del sole. Per la prima volta di nuovo solo con se stesso provò una sensazione umana, da quanto tempo non gli accadeva? - ed umana fu la sua riflessione successiva; e se la preda fosse riuscita a fuggire? Cosa avrebbero mangiato i lupi? Come avrebbe affrontato il branco tale drammatico imprevisto? Le domande sorgevano in sequenza da aree della sua mente che quasi aveva dimenticato, e si affollavano sulle sue labbra. Come poteva-no sopportare ogni giorno la pressione di una caccia sospesa tra la sopravvivenza e la morte? Uno stridio breve e lancinante, che si levò acuto tra i rami magri, lo distolse da questi pensieri. Rallentò il passo, guidato dai suoni della lotta, e tirò il fiato. Quando raggiunse il luogo della cattura, un'inse-natura tra le rocce e un rivolo d'acqua, la preda era già stata aperta. Nello sguardo del lupo grigio, il padre, che staccava i primi morsi, non vide alcun segno di soddisfazione né di sollievo; se non ci si dedica a previsioni e ci si limita ad agire, soppesò, nessun imprevisto turberà la nostra quieta, im-mutabile corsa verso la morte.



III


Quella sera l'uomo si cibò col branco, staccando i piccoli pezzi del suo modesto pasto direttamente dal corpo del cervo; il sapore era troppo forte, erano rimaste solo le parti più dure che i suoi denti non riuscivano a lacerare, ma in qualche modo si adattò. Per essere accettato doveva vivere come un lupo. Attese pazientemente il suo turno, stando in disparte; non voleva rischiare che il padre lo scac-ciasse violentemente, mordendolo di nuovo alla mascella come talvolta continuava a fare, per affer-mare il proprio diritto di cibarsi per primo. I lupi mangiarono a sazietà, svuotando quasi completa-mente la preda; non potevano sapere se il giorno dopo ne avrebbero catturata un'altra, e l'uomo pen-sò che in fondo non si ponessero nemmeno la domanda.
Il lupo nero contese al padre le parti più ambite, il cuore e i reni; entrambi si ferirono.

Scese la sera. Come spesso accadeva, si era alzato il vento. L'uomo lo sentiva sfregargli le guance col suo turbinio gelido, il suo fruscio era l'unico suono udibile, come se il freddo incombente avesse congelato ogni forma di vita. Si mise a fissare le cime degli abeti, puntate verso il cielo di un blu ac-ceso, rischiarato dalla sagoma gialla della luna. Era quasi piena.
Il lupo nero, una sagoma a malapena distinguibile nella notte, si alzò dal giaciglio. I suoi occhi scin-tillavano; fissò l'uomo con la solita aria ingenua, curiosa, e sventolando la coda come un cane lo in-vitò chiaramente a seguirlo. L'uomo non si fece attendere.

Tenendosi dietro al passo sicuro del lupo si ritrovò su un piccolo poggio che emergeva tra gli alberi, con una roccia che dominava la valletta sottostante. Vi salì, e senza più la foresta a fargli da scudo il vento prese a schiaffeggiarlo in faccia. Anche il freddo gli serrava gli arti in una morsa, le gambe gli tremavano ed iniziò a battere i denti, ma non gli importava. La luna adesso era velata da una coltre di nubi, che sfilacciandosi lasciava passare i suoi raggi. Il paesaggio davanti ai suoi occhi era una sconfinata distesa argentea, con le punte degli alberi che si perdevano in lontananza, dove sorgeva¬no imperturbabili le montagne. Il soffio del vento, alle sue orecchie ormai abituate, suonava come un grave sottofondo d'archi; interveniva solo il fruscio di un fiume, come una corda pizzicata, di tanto in tanto. Quanto tempo mancava al giorno in cui l'acqua si sarebbe gelata? Quanto mancava alla prima neve, alla fine forzata del suo viaggio? Era già tardi, troppo tardi, ma stava perdendo la capacità di ragionare e prevenire gli eventi.
Il lupo nero era accanto a lui, accucciato, col pelo mosso dal vento e gli occhi velati da una certa malinconia, si sarebbe detto. D'improvviso, un lungo e tenue canto si levò tra gli alberi. Il lupo nero drizzò la testa e le orecchie. L'ululato continuava, e lui rispose. Sollevò il muso e innalzò la sua voce al cielo; a tratti si spezzava in un guaito e si faceva roca, poi riprendeva con tono appassionato.
L'uomo si schiacciò a terra, sulla roccia, e chiuse gli occhi. Era commosso, con inaudito vigore, da quel suono struggente che si diffondeva da un lupo all'altro per tutta la foresta. Provò ad unirsi, ed un debole grido lamentoso uscì dal suo petto. Il lupo nero, insospettito, si azzittì e lo puntò. Poi in-clinò il muso e gli sfiorò la guancia col naso; era gelido e umido, il suo fiato portava ancora l'odore della carne. Ripresero a ululare, insieme. L'uomo non aveva idea del perché quegli animali levasse¬ro il loro canto, lasciandolo trasportare dal vento. Forse per segnalare la posizione, ma perché tanta insistenza? Forse per comunicare, ma cosa? Forse per qualche motivo più superfluo, eppure più no-bile? Non gli importava, perché in quel momento gli pareva di comprendere ogni particolare. Ululò fino a piangere e si svuotò il petto per se stesso, per il lupo nero, per ogni lupo che rispondeva al ri-chiamo, per ogni cosa che si animava sotto quell'unico, infinito cielo.



IV


Il giorno in cui il lupo nero se ne andò c'era un alba d'autunno, umida e silenziosa. Filamenti di nu-vole s'allargavano nel cielo ancora grigio, mentre la pigra luce del sole sempre più piccolo stendeva sull'orizzonte un velo dorato, sfumato di rosa.
Il lupo nero avanzò con decisione due passi verso nord. Poi si fermò. La sua sagoma muscolosa, scura, spiccava nel grigiore diffuso. Aveva improvvisamente assunto un portamento diverso, più di-gnitoso, composto, adulto. L'uomo lo chiamò con un ringhio e questo piegò il collo verso di lui; gli occhi erano sempre gli stessi, di un azzurro spettrale, ma gli parvero salutarlo con una nuova espres-sione. La viva curiosità aveva lasciato il posto a un piglio serio e generoso, memore del loro lega¬me. C'era un sentimento? Stima, riconoscimento, affetto? L'uomo non si pose queste domande. Si avvicinò al lupo ma questo digrignò appena i denti, senza nemmeno che il suo muso assumesse i connotati della minaccia. Sapeva che non ce n'era bisogno, l'uomo capì, e il lupo s'allontanò al trotto nel bosco senza più guardarsi indietro.



V


L'alba del giorno successivo, o forse ne erano passati molti di più, il cielo era bianco.
Non un fremito, non un odore nell'aria ferma. Sotto quella coltre di nubi inespressiva un muro di neve era senza dubbio pronto a scendere, in fiocchi lenti e leggeri. L'intera foresta attendeva in si-lenzio che calasse. L'uomo non se l'aspettava, non l'aveva previsto. Non prevedeva più niente che andasse al di là del qui e ora. Non fu sorpreso, né spaventato dall'idea di recuperare faticosamente la via della civiltà arrancando tra la neve e il gelo.
Se si fosse perso avrebbe fatto come il lupo nero, la cui sagoma compariva spesso nella sua mente, solitaria a vagabondare per la foresta. O forse, chissà, poteva persino rimanere col branco durante l'inverno.
Infine, come il lupo nero prima di lui, si allontanò verso sud senza esitare, verso i primi faggi e cli¬mi più miti. Non aveva nessun pensiero per la testa; tutto ciò che lo rappresentava erano i suoi passi lenti, accolti dalle profondità della foresta, mentre il cielo bianco si richiudeva come una coperta so-pra di lui e la prima neve cancellava le sue impronte.


Sir
 

Olmo60

Guru Master Florello
Ora sto leggendo IL MEMORIALE DELLA REPUBBLICA sottotitolo gli scritti di Aldo Moro dalla prigionia e l'anatomia del potere italiano
autore Miguel Gotorinsegnante di storia moderna all'università di Torino. Il libro si basa su documenti della magistratura, interviste, confessioni del brigatisti, ricostruzioni di chi ha vissuto quella vicenda (testimonianze di politici e giornalisti). Intervengono direttamente o indirettamente la P2, Gladio, servizi segreti. Le omissioni del corpo speciale antiterrorismo guidato dal generale Dalla Chiesa. Le trame di Andreotti, Cossiga, e la politica in generale. Perchè è caduta la "Prima Repubblica" e se veramente è mai caduta....
 

Green thumb

Moderatore Sezz. Prato / Libri
Membro dello Staff
Stampo anche io... "spezzo" il SdA e se questi me li leggo in una serata vuol dire che so' 'gnurante e mollo il tomo! :lol:
 

Anna1983

Giardinauta Senior
Daria ho appena stampato i racconti, stasera li leggo e domani avrai un mia recensione!

Preferisco comprarli i libri, nell'eventualità mi venisse voglia di rileggerli e perchè se a malapena ricordo il titolo, di sicuro dimentico l'autore, non saprei poi come recuperarli. Quindi "l'ombra del vento" l'ho comprato.

A dire il vero mio marito mi ha iscritta a Euroclub, ho l'obbligo dell'acquisto. Approfitto allora delle recensioni del mio forum (e unico) preferito:eek:k07:

Anche a me a volte capita di non ricordare il nome di un autore..... è una cosa che mi snerva!!!
Una volta ero iscritta anche io a Euroclub, però non mi piacevano molto i libri che aveva, poi non sopportavo l' obbligo di acquisto e, sopprattutto, il fatto che ti mandavano il libro del mese se non facevi un ordine (fossero stati lameno bei libri....)
 

floretta

Maestro Giardinauta
Hai ragione Anna tutti siamo stati iscritti o quasi a questi club, ma penso che molti di noi siano scappati proprio per il motivo che dici tu.....
 

Green thumb

Moderatore Sezz. Prato / Libri
Membro dello Staff
Letti d'un fiato tutti e tre (e questo la dice lunga sulla mia predisposizione nel confronti del SdA)

Parte un po' male il primo (ma forse però perché non mi aspettavo che fosse ambientato negli States) e anche troppo vago e "facilone" nel descrivere i motivi che hanno spinto i sei a "occupare" il liceo ma poi prende il ritmo ed è diventato molto interessante, mi ha preso decisamente tanto da sperare che fosse più lungo, finale a sorpresa e interessante portando una sorta di giustificazione soprannaturale ai crimini più efferati.

Simpaticissimo il secondo, da bambino mi chiedevo spesso se gli oggetti avessero un anima ed ero arrivato a dare un nome alle cose che mi erano più care, più equilibrato del precedente ma se proprio volessi fare il pignolo si sarebbe potuto ampliare lo specchio sull'anima del protagonista umano della vicenda.

L'ultimo è quello che aveva più potenzialità di "sfondare" e l'ho visto come un'occasione persa, veramente bello e espressivo ma sembrava una Ferrari che cercasse di correre con il freno a mano tirato il lettore è costretto a ricostruire tutto lo stato d'animo del protagonista e il suo interagire con la sua nuova famiglia, è stato un po' come ammirare una barriera corallina guardando solo l'atollo quello che è sotto lo puoi immaginare ma tu vedi "solo" l'isolotto!

P.S.
Se non sai fare una cosa, sarai un critico perfetto!...

... come vado come critico? :lol:
 
Ultima modifica:

Olmo60

Guru Master Florello
Io ho proprio una passione per i classici.
Ma ne devo leggere ancora tanti.....
PS Io il signore degli anelli lo considero un calssico!!!

Se ti piacciono i classici...hai letto "Adriano" di Marguerite Yorcenauer? è il romanzo attraverso il quale la Yorcenauer è stata ammessa, prima donna in assoluto, a far parte di una prestigiosa università francese o qualcosa del genere....

della letteratura russa non perderti " I racconti della Kolima" di W. Salomov...2 volumi su come erano organizzate intere città che contenevano gli esiliati ai lavori forzati nella Russia fino agli anni '70 e oltre...
 

daria

Master Florello
Letti d'un fiato tutti e tre (e questo la dice lunga sulla mia predisposizione nel confronti del SdA)

Parte un po' male il primo (ma forse però perché non mi aspettavo che fosse ambientato negli States) e anche troppo vago e "facilone" nel descrivere i motivi che hanno spinto i sei a "occupare" il liceo ma poi prende il ritmo ed è diventato molto interessante, mi ha preso decisamente tanto da sperare che fosse più lungo, finale a sorpresa e interessante portando una sorta di giustificazione soprannaturale ai crimini più efferati.

Simpaticissimo il secondo, da bambino mi chiedevo spesso se gli oggetti avessero un anima ed ero arrivato a dare un nome alle cose che mi erano più care, più equilibrato del precedente ma se proprio volessi fare il pignolo si sarebbe potuto ampliare lo specchio sull'anima del protagonista umano della vicenda.

L'ultimo è quello che aveva più potenzialità di "sfondare" e l'ho visto come un'occasione persa, veramente bello e espressivo ma sembrava una Ferrari che cercasse di correre con il freno a mano tirato il lettore è costretto a ricostruire tutto lo stato d'animo del protagonista e il suo interagire con la sua nuova famiglia, è stato un po' come ammirare una barriera corallina guardando solo l'atollo quello che è sotto lo puoi immaginare ma tu vedi "solo" l'isolotto!

P.S.
Se non sai fare una cosa, sarai un critico perfetto!...

... come vado come critico? :lol:

Ottimamente, da critica a critico: critichiamo, critichiamo :D l'importante e' non lavorare :lol:

dunque Green, il tuo podio segue l'ordine con il quale hai recensito, giusto? :)
 

benji09

Giardinauta
Il libro Le memorie di Adriano non mi ha mai attirato più di tanto ma se me lo cosigli prima o poi ci faccio un pensierino.
I racconti di Kolima mi hanno sempre tentata ma dopo aver letto Arcipelago Gulag di Solgenytcin ho bisogno di un po' di pausa da quell'argomento(in realtà è più di un anno che l'ho finito!), perchè mi angoscia sempre molto (anche se sto rileggendo Se questo è un uomo..)
Se ti interessa l'argomento Arcipelago gulag merita assolutamente
 
Stato
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