II
Per gli studiosi, l'uomo sarebbe stato il maschio omega, l'ultima ruota del carro, ma a lui questo non importava. Mentre camminava nella foresta, in un tiepido mattino d'autunno, le sue gambe deboli e pesanti scivolavano a più riprese sul muschio e faticavano a seguire la serpentina dei lupi fra i tron¬chi fitti e sottili di una giovane abetaia; tuttavia si sentiva leggero e capace di sopportare le marce più estenuanti. Si sentiva accettato, in un certo senso, con un suo ruolo particolare in quel branco di animali troppo intelligenti per non rendersi conto che in lui qualcosa non quadrava, eppure del tutto disinteressati alla differenza di specie.
Il lupo nero aveva per lui una intensa curiosità, ansiosa di trasformarsi in amicizia. Era il primo fi¬glio maschio della coppia, giovane ma già più alto e pesante del padre. Aveva il portamento nervoso di chi ha ancora tutto da dimostrare e due occhi azzurri, glaciali, che spesso cercavano i suoi piccoli e castani. Durante il giorno non faceva che annusarlo e alla sera, quando erano sdraiati in un riparo tra gli alberi, lo stuzzicava con la zampa e poi si girava sul dorso, puntandolo col naso e guardando¬lo a testa in giù. Talvolta guaiva, quasi impercettibilmente, e si drizzava sulle zampe pronto a coin-volgerlo, forse, nel gioco. L'uomo temporeggiava, combattendo quella parte di lui ansiosa di lan¬ciarsi sull'erba; tentava ancora di assolvere l'arduo compito di non dimenticarsi le sue origini. Rima¬neva seduto, accanto ai due cuccioli, i figli più giovani, che lo fissavano con gli occhi grandi senza concedergli troppe confidenze.
Il branco stava inseguendo un giovane cervo che erano riusciti ad isolare, e tentavano di sfiancarlo prima di attaccarlo. La preda doveva essersi improvvisamente avvicinata, perché i lupi partirono ad un veloce trotto, lasciando l'uomo ad arrancare dietro le loro orme. Si trovò solo e spaventato per la prima volta dall'idea di perdere il contatto si mise a correre a perdifiato, senza tuttavia avvicinarsi di molto agli animali. Col respiro ingrossato dalla corsa, l'odore penetrante della resina entrò nelle sue narici insieme quello del legno che asciugava l'umidità ai raggi del sole. Per la prima volta di nuovo solo con se stesso provò una sensazione umana, da quanto tempo non gli accadeva? - ed umana fu la sua riflessione successiva; e se la preda fosse riuscita a fuggire? Cosa avrebbero mangiato i lupi? Come avrebbe affrontato il branco tale drammatico imprevisto? Le domande sorgevano in sequenza da aree della sua mente che quasi aveva dimenticato, e si affollavano sulle sue labbra. Come poteva-no sopportare ogni giorno la pressione di una caccia sospesa tra la sopravvivenza e la morte? Uno stridio breve e lancinante, che si levò acuto tra i rami magri, lo distolse da questi pensieri. Rallentò il passo, guidato dai suoni della lotta, e tirò il fiato. Quando raggiunse il luogo della cattura, un'inse-natura tra le rocce e un rivolo d'acqua, la preda era già stata aperta. Nello sguardo del lupo grigio, il padre, che staccava i primi morsi, non vide alcun segno di soddisfazione né di sollievo; se non ci si dedica a previsioni e ci si limita ad agire, soppesò, nessun imprevisto turberà la nostra quieta, im-mutabile corsa verso la morte.
III
Quella sera l'uomo si cibò col branco, staccando i piccoli pezzi del suo modesto pasto direttamente dal corpo del cervo; il sapore era troppo forte, erano rimaste solo le parti più dure che i suoi denti non riuscivano a lacerare, ma in qualche modo si adattò. Per essere accettato doveva vivere come un lupo. Attese pazientemente il suo turno, stando in disparte; non voleva rischiare che il padre lo scac-ciasse violentemente, mordendolo di nuovo alla mascella come talvolta continuava a fare, per affer-mare il proprio diritto di cibarsi per primo. I lupi mangiarono a sazietà, svuotando quasi completa-mente la preda; non potevano sapere se il giorno dopo ne avrebbero catturata un'altra, e l'uomo pen-sò che in fondo non si ponessero nemmeno la domanda.
Il lupo nero contese al padre le parti più ambite, il cuore e i reni; entrambi si ferirono.
Scese la sera. Come spesso accadeva, si era alzato il vento. L'uomo lo sentiva sfregargli le guance col suo turbinio gelido, il suo fruscio era l'unico suono udibile, come se il freddo incombente avesse congelato ogni forma di vita. Si mise a fissare le cime degli abeti, puntate verso il cielo di un blu ac-ceso, rischiarato dalla sagoma gialla della luna. Era quasi piena.
Il lupo nero, una sagoma a malapena distinguibile nella notte, si alzò dal giaciglio. I suoi occhi scin-tillavano; fissò l'uomo con la solita aria ingenua, curiosa, e sventolando la coda come un cane lo in-vitò chiaramente a seguirlo. L'uomo non si fece attendere.
Tenendosi dietro al passo sicuro del lupo si ritrovò su un piccolo poggio che emergeva tra gli alberi, con una roccia che dominava la valletta sottostante. Vi salì, e senza più la foresta a fargli da scudo il vento prese a schiaffeggiarlo in faccia. Anche il freddo gli serrava gli arti in una morsa, le gambe gli tremavano ed iniziò a battere i denti, ma non gli importava. La luna adesso era velata da una coltre di nubi, che sfilacciandosi lasciava passare i suoi raggi. Il paesaggio davanti ai suoi occhi era una sconfinata distesa argentea, con le punte degli alberi che si perdevano in lontananza, dove sorgeva¬no imperturbabili le montagne. Il soffio del vento, alle sue orecchie ormai abituate, suonava come un grave sottofondo d'archi; interveniva solo il fruscio di un fiume, come una corda pizzicata, di tanto in tanto. Quanto tempo mancava al giorno in cui l'acqua si sarebbe gelata? Quanto mancava alla prima neve, alla fine forzata del suo viaggio? Era già tardi, troppo tardi, ma stava perdendo la capacità di ragionare e prevenire gli eventi.
Il lupo nero era accanto a lui, accucciato, col pelo mosso dal vento e gli occhi velati da una certa malinconia, si sarebbe detto. D'improvviso, un lungo e tenue canto si levò tra gli alberi. Il lupo nero drizzò la testa e le orecchie. L'ululato continuava, e lui rispose. Sollevò il muso e innalzò la sua voce al cielo; a tratti si spezzava in un guaito e si faceva roca, poi riprendeva con tono appassionato.
L'uomo si schiacciò a terra, sulla roccia, e chiuse gli occhi. Era commosso, con inaudito vigore, da quel suono struggente che si diffondeva da un lupo all'altro per tutta la foresta. Provò ad unirsi, ed un debole grido lamentoso uscì dal suo petto. Il lupo nero, insospettito, si azzittì e lo puntò. Poi in-clinò il muso e gli sfiorò la guancia col naso; era gelido e umido, il suo fiato portava ancora l'odore della carne. Ripresero a ululare, insieme. L'uomo non aveva idea del perché quegli animali levasse¬ro il loro canto, lasciandolo trasportare dal vento. Forse per segnalare la posizione, ma perché tanta insistenza? Forse per comunicare, ma cosa? Forse per qualche motivo più superfluo, eppure più no-bile? Non gli importava, perché in quel momento gli pareva di comprendere ogni particolare. Ululò fino a piangere e si svuotò il petto per se stesso, per il lupo nero, per ogni lupo che rispondeva al ri-chiamo, per ogni cosa che si animava sotto quell'unico, infinito cielo.
IV
Il giorno in cui il lupo nero se ne andò c'era un alba d'autunno, umida e silenziosa. Filamenti di nu-vole s'allargavano nel cielo ancora grigio, mentre la pigra luce del sole sempre più piccolo stendeva sull'orizzonte un velo dorato, sfumato di rosa.
Il lupo nero avanzò con decisione due passi verso nord. Poi si fermò. La sua sagoma muscolosa, scura, spiccava nel grigiore diffuso. Aveva improvvisamente assunto un portamento diverso, più di-gnitoso, composto, adulto. L'uomo lo chiamò con un ringhio e questo piegò il collo verso di lui; gli occhi erano sempre gli stessi, di un azzurro spettrale, ma gli parvero salutarlo con una nuova espres-sione. La viva curiosità aveva lasciato il posto a un piglio serio e generoso, memore del loro lega¬me. C'era un sentimento? Stima, riconoscimento, affetto? L'uomo non si pose queste domande. Si avvicinò al lupo ma questo digrignò appena i denti, senza nemmeno che il suo muso assumesse i connotati della minaccia. Sapeva che non ce n'era bisogno, l'uomo capì, e il lupo s'allontanò al trotto nel bosco senza più guardarsi indietro.
V
L'alba del giorno successivo, o forse ne erano passati molti di più, il cielo era bianco.
Non un fremito, non un odore nell'aria ferma. Sotto quella coltre di nubi inespressiva un muro di neve era senza dubbio pronto a scendere, in fiocchi lenti e leggeri. L'intera foresta attendeva in si-lenzio che calasse. L'uomo non se l'aspettava, non l'aveva previsto. Non prevedeva più niente che andasse al di là del qui e ora. Non fu sorpreso, né spaventato dall'idea di recuperare faticosamente la via della civiltà arrancando tra la neve e il gelo.
Se si fosse perso avrebbe fatto come il lupo nero, la cui sagoma compariva spesso nella sua mente, solitaria a vagabondare per la foresta. O forse, chissà, poteva persino rimanere col branco durante l'inverno.
Infine, come il lupo nero prima di lui, si allontanò verso sud senza esitare, verso i primi faggi e cli¬mi più miti. Non aveva nessun pensiero per la testa; tutto ciò che lo rappresentava erano i suoi passi lenti, accolti dalle profondità della foresta, mentre il cielo bianco si richiudeva come una coperta so-pra di lui e la prima neve cancellava le sue impronte.
Sir