Dare a Welby la possibilità di lasciare un corpo che ormai definiva "carcere infame" (che pugnalata al cuore, quelle parole...) è stato un atto di umanità, di carità cristiana, con buona pace della Chiesa che ha opposto sempre resistenza.
L'accanimento terapeutico viene vissuto spesso dai medici come un dovere, a volte come tutela della loro professionalità (temono che le famiglie del malato possano un giorno incolparlo di non aver fatto abbastanza), altre volte ancora è la conseguenza di una ferma ideologia che mette la vita, di qualunque tipo e livello essa sia, al primo posto. Un anno e mezzo fa mia madre è stata operata per un incidente: nella sua camera era ricoverata da tempo una vecchietta di 95 anni, ormai minuscola, praticamente cieca, senza muscoli, con una frattura a un femore che non avrebbe mai potuto ricomporsi: un passerotto con le alette atrofizzate e una zampetta rotta... Ad un certo punto lei non voleva più mangiare, nè bere, si vedeva che era alla fine, si stava spegnendo come è naturale che sia a quell'età. Il cuore una mattina le si è fermato, era morta, ma mia madre ha visto arrivare un gruppo di medici e infermieri, hanno cominciato ad iniettare dei farmaci alla vecchietta, a fare massaggi cardiaci, a mettere il respiratore. Lei dice che ha pianto, si è sentita ferita dal comportamento di quei medici, perchè era un vero accanimento su un corpo ormai senza vita, ma anche su una persona che stava terminando serenamente una lunga vita in modo naturale e senza, davanti a sè, alcuna prospettiva di vita se non quella di sfinirsi in un letto....Umanità? Senso del dovere? Tutela dai familiari? Boh...
Welby ha lasciato a tutti noi una grande eredità: ha rinunciato a cercare un medico compiacente e ha portato davanti ai nostri occhi una realtà percepibile solo a coloro che la vivono direttamente e alle loro famiglie, ci ha finalmente costretti a prenderci delle responsabilità, a scegliere, a pensare.
Ciao Welby, grazie dal profondo del cuore.