Per la prima volta, da anni, cosa che davvero non succedeva da molto tempo, mi sono stupita nel ritrovarmi vicina al pensiero cristiano in questo specifico frangente.
E' già ostico riuscire a trovare parole decenti a spiegarne i motivi senza essere continuamente in dubbio.
Ma mille sfumature avvolgono e coinvolgono casi come questi.
Ho subito in prima persona l'agonia di un corpo che sembra combattere sè stesso, di un fisico che non risponde più a dovere.
Ciò causa sofferenza, tanta, troppa forse e troppo a lungo, perchè una mente ed un cuore umano non cominci, giustamente, a chiedere che tutto ciò cessi.
Accanto al dolore fisico che sfianca ci si vede uscire dalla società, ci si sente non più 'normali', non più di grado di salire sul treno insieme alla comunità.
E se il dolore fisico, è una realtà insopportabile, forse, mi chiesi a suo tempo, quel treno vissuto come reale, forse in fondo, non lo era.
Riflettevo su questo, mentre le mie mani assomigliavano sempre di più a rami contorti e secchi e mentre l'angoscia di diventare 'peso' sulle spalle altrui era forse meno sopportabile della sofferenza acuta che stavo vivendo.
Ricordai quando ricevetti la notizia che mio zio, era affetto da distrofia muscolare.
Ricordai quando avvicinarlo era reso difficile dal suo cambiare e dalla sua agonia.
Fù una mescolanza di dispiacere, di senso d'impotenza, ma anche di un grave senso di colpa, poichè io mi difendevo dalla visione del suo corpo che attaccato dalla malattia, andava deformandosi. E in fondo, io lo sapevo questo, ma faceva male, molto male ammettere che era ciò che mi terrorizzava di più.
Ma mi mancava, ed un certo sentimento mi tampinava rammentandomi che stavo sprecando tempo per viverci, stavo arrendendomi alla morte, sentenziadola prima del dovuto.
Come ieri ho nel cuore la memoria di quando finalmente mi mossi verso di lui.
La visione fù choccante, tremai alla vista di quel corpo offeso, ma il suo sguardo fù lo schiaffo peggiore.
Un velo di lacrima e di comprensione c'era nei suoi occhi, ma anche un'accusa terribile. Mi hai abbandonato perchè stò soffrendo? Oppure mi hai abbandonato perchè diverso, apparentemente diverso da come mi hai conosciuto?
Sì, era vero. Lo avevo abbandonato perchè non riuscivo ad andare oltre all'apparenza.
Stavo sostenendo la morte, la malattia, ciò che aggredisce, invece di scalzare il tutto e prendermi cura del nostro amore.
Combattei accanto a lui con l'unica arma che conoscessi, l'amore. Non mi arresi alla malattia nel volermi togliere anche il tempo per stare con lui.
Siamo abituati a pensare e la ricerca, spesso ostacolata, avanza troppo lentamente, che per determinate malattie non vi siano speranze.
Siamo abituati a pensare che l'unica via di vita 'degna' sia già tracciata e definita.
Ma la vita è vita, anche nel dolore, anche fuori dai giochi dei ruoli sociali che devono essere assolti.
Sento vera la frase di un prelato che ha espresso la preoccupazione di fronte ad una società che si stringe solidale a dare la morte.
Non tanto perchè è opinabile che sia giustificata l'idea di decisione sulla propria vita e sulla propria morte, ma perchè è troppo facile e c'è un rischio pericolo alla base, molto elevato.
Accanimento terapeutico se vogliamo è anche il soccorso prestato durante un incidente. Lo è in caso di malattia quando si decide che per la sopravvivenza di chiunque si combatte contro quella malattia e la mente mi corre veloce ai bambini nei reparti oncologici del Gaslini.
La vita capita ci dimostri di essere strana, anche se a volte, li si chiama miracoli.
Ma, una società pronta a staccare la spina sempre e comunque, quando ha di fronte una malattia realisticamente infermabile, a me fà paura. Perchè sceglie di uccidere, piuttosto che lavorare in due o più versanti a sostenere la vita.
Stò pensando ad esempio alla terapia del dolore che spesso non viene applicata come si potrebbe.
Stò pensando al fatto che molti scienziati potrebbero studiare qualcosa che rendesse gli infermi non più immobili a letto.
Insomma stò pensando ad una società che investe sulla vita, anzichè prendere scorciatoie.
Certo, se tutto è gettato e grava sulle spalle della sola famiglia del malato o incidentato.... anche questa però è abitudine di una società a non occuparsi e preoccuparsi delle persone più deboli, se non quando si devono vincere le elezioni.
Può una società avallare l'eliminazione, perchè questa alla fine è, di persone diversamente abili?
Perchè Welby, magari aiutato, veramente aiutato, a sopire il dolore fisico e muoversi un po' con macchinari idonei (si costruiscono armi e si và su Marte, ma queste cose sembrano sempre irraggiungibili o fiabesche) era apppunto lucido e avrebbe comunque potuto continuare a vivere, trovando un'altra via per farlo, forse non avrebbe agognato la morte, come sola fine alle sue sofferenze.
Quando ci capita direttamente e per lungo tempo, è questo il naturale desiderio, che tutto finisca! Ma se per miracolo, si scampa da questa, si è ben lieti di continuare a respirare, anche se, farlo non è più facile come una volta. Non è detto che questa nuova dimensione non sia anche apportatrice di nuove vie di espressioni di vita.
Si parla del proprio diritto a decidere di morire, è proprio vero? Se la vita è un dono e lo è anche la morte, se non giustifichiamo i suicidi, allora forse non è vero che si è padroni di decidere o quantomeno non senza l'ombra del sospetto.
Questa è una società che si appresta sempre di più a 'eliminare' velocemente i problemi invece di risolverli, perchè questo costa impegno, anche politico e risorse anche economiche, che forse non si ha la volontà di impiegare.
Questa è anche una società che promuove solo l'efficenza, il perfetto, il vincente, secondo canoni ormai visibilmente discutibili.
Canoni che partoriscono mali nuovi come l'anoressia o conducono gente a pensare che 21 operazioni di chirurgia plastica sono necessari per gartantirsi il successo ed hanno ragione mi sembra, dopotutto.
Questa è una società che non permette più da tempo alle donne di aver tutti i figli che desiderano e si profila ancora all'orizzonte, il fatto che sia più facile negare la vita invece che armarsi per sostenerla.
Sappiamo tutti che guaio sia per le donne, la maternità. Sappiamo tutti quant'è difficile poterlo diventare e mantenersi al contempo il posto di lavoro senza vedersi decurtare lo stipendio.
Sempre chè non ti licenzino, sempre chè tu non sia stata costretta a firmare una lettera di licenziamento post-databile, in caso ti passasse per la testa, il divenire flagello e peso parassita sulle spalle dell'economia mondiale, diventando madre, ovvero producendo vita.
Tutti i problemi delle donne, tutti i problemi alla maternità, non sono forse gli stessi pronunciati su cui si fonda l'eutanasia?
Ovvero vie facili, anche perchè è da tempo che si sussurra che nel mondo c'è troppa gente!
Troppo impegnativo sostenere la maternità come un dono, ma soprattutto troppo dispendioso.
Troppo impegnativo trovare il modo di sostenere la vita dei più deboli, di chi è malato, perchè troppo dispendioso.
Ma soprattutto, se ciò avvenisse, cambierebbe inevitabilmente determinati equilibri e forse, la gente non appoggrebbe più miliardi destinati al riarmo, cambierebbe la visione di ciò che vita significa, non ridotta a mera macchina produttrice, ruolo preimposto ancora prima di nascere.
Certo, trattenere in vita, un corpo con encefalogramma piatto, il cui cuore batte solo grazie ad una macchina, potrebbe in effetti essere un caso in cui, la spina andrebbe staccata, poichè in quel caso, forse l'unica cosa ad essere viva, è la macchina.
Però, io francamente non oso pensare a cosa succederebbe nelle sale ospedaliere, nel caso remoto in cui passasse una legge all'eutanasia.
Mi riferisco ad esempio alla responsabilità di chi dovrebbe decidere lo stop e soprattutto quando.
Una persona decide in vita e in piena lucidità, che nel caso in cui, non ci si accanisca in modo terapeutico.
Primo dubbio:
In quali casi?
Secondo dubbio. C'è da sperare sempre, che chi ti vive accanto ti ami fino alla fine, che non abbia ad esempio, maturato nel tempo, una certa acredine o di interesse, di tipo ereditario ad esempio.
Finisco, con dirvi che.
Mio zio era un infermiere nell'istituto per anziani in cui è morto.
Prima di morire, chiese l'eutanasia.
Dopo averla chiesta ai famigliari diretti, ove la moglie era assolutamente daccordo, disse anche che era una pratica che utilizzavano da tempo in quell'istituto. (la disponibilità dei letti... sapete com'è).
La magistratura non ha potuto provare che mio zio è stato ucciso dal primario dello stesso istituto, con il beneplacido della moglie di mio zio.
L'autopsia richiesta di parte, vede un'altro primario all'opera che decreta la morte naturale. La salma viene cremata prima che, susseguente la denuncia arrivata tardi, fosse possibile un ulteriore autopsia. Il documento in cui, mio zio chiedeva la cremazione, è stata redatta, un mese prima della sua scomparsa e mio zio, non muoveva più le mani da molto più tempo.
L'inchiesta ha coinvolto anche i giornali locali.
Non si saprà mai, come sono andate veramente le cose, nè per mio zio, nè per altri degenti e l'istituto è ancora ed ovviamente funzionale.