Io mi trovo a dovermela vedere con questo dilemma,sia per lavoro,sia per faccende familiari.Le mie posizioni a riguardo sono vicine a quelle di Danger.Mi sono sentita chiedere da persone molto malate ,senza speranza ,di aiutarle a porre termine ai loro giorni.Premesso che la legge attuale non me lo permette,ma,personalmente,ho sempre ritenuto più utile aiutare queste persone,sia sotto il profilo medico con le cure palliative,che sotto il profilo psicologico,piuttosto che accorciare i loro giorni.Dal punto di vista medico,le cure palliative hanno fatto passi da gigante,per esempio,attualmente ci sono molte vie di somministrazione della morfina,dal cerotto,alla supposta,alla crema,mentre un tempo c'era solo la via parenterale,con tutte le penalizzazioni del caso.E,pe fortuna,la morfina non è più demonizzata come un tempo.Devo dire che la Chiesa ha ostacolato il difondersi e il progredire delle terapie antalgiche qui in Italia,secondo la visione della sofferenza come strumento di purificazione.Per fortuna hanno cambiato idea anche loro,ma di guasti ne hanno fatti tanti,anzi,troppi:il dolore puo' essere utile,se serve a mettere in evidenza uno stato morboso in modo da curarlo celermente,ma quando la faccenda si fa seria,si tratta di dolore inutile e basta.Fra l'altro,attualmente non esiste solo la morfina,ma ci sono altri antidolororifici altrettanto efficaci,che da soli o in combinazione con altri farmaci,aiutano a dominare la sofferenza e i sintomi più fastidiosi.Alla peggiore delle ipotesi esiste la sedazione farmacologica,induzione di sonno chimico profondo,che si usa,nelle terapie palliativistiche quando la persona è alla fine,o ha dei sintomi che non si possono risolvere in alcun modo.Dal punto di vista psicologico,il tempo della malattia,se la persona puo' essere efficacemente sostenuta,puo' essere un tempo molto fecondo,perchè non solo aiuta la persona ad accettare e ad affrontare il grande viaggio con più serenità,ma l'aiuta a risolvere e a mettere ordine nelle cose della sua vita,fare pace con se' stessi e con gli altri,a trovare senso in quello che ha fatto e come ha vissuto,e vi assicuro,anche questo l' aiuta moltissimo.Certamente,per poter fare questo,è necessario che, chi si occupa di chi sta male, deve avere un bagaglio psicologico,di esperienza, e un assetto interiore particolare,deve avere,per cos' dire, voglia di "sporcarsi le mani" e mettersi in gioco.Molti medici considerano ancora adesso le cure palliative come il fallimento ,in un certo senso,dell'opera del medico,tesi come sono alla guarigione,con evidente sottofondo narcisistico,ma sono in errore:dare sollievo e serenità alla persona anche in quei momenti,aiutarla a mettere le fila alla sua esistenza è qualcosa di grande e bello,anche se puo' essere struggente.Posso dirvi che è un modo molto umano di fare il medico,e credo,uno dei più belli che mi sia capitato di vivere.Molte persone che sulle prime mi avevano chiesto di aiutarle a porre fine anticipata ai loro giorni,successivamente mi hanno ringraziato di non averlo fatto,perchè hanno avuto il tempo di "aggiustare" la loro esistenza.Anche i familiari che li assistevano erano contenti di aver potuto star loro accanto,dare affetto,perdonarsi.Vedete,è importante che ogni persona sia messa nella condizione di dare e ricevere affetto,di perdonare ed essere perdonata.Tante volte,parlando con parenti di persone che si sono suicidate,questi erano disperati perchè non solo non si erano accorte del malessere del loro congiunto,ma del fatto che non avevano potuto fare nulla per aiutarle ed evitare l'irreparabile.Si,in linea di principio,puo' essere giusto che una persona abbia diritto a decidere di quando e come morire,ma penso che sia più utile trovare e usare strategie che l'aiutino e la sostengano senza ricorrere a questo mezzo estremo,che mi pare,comunque,questo si,un segno di fallimento.Insomma,per dirla con Daria "eutanasia si ...ma senza esagerare,e senza fretta"