• Vi invitiamo a ridimensionare le foto alla larghezza massima di 800 x 600 pixel da Regolamento PRIMA di caricarle sul forum, visto che adesso c'è anche la possibilità di caricare le miniature nel caso qualcuno non fosse capace di ridimensionarle; siete ufficialmente avvisati che NEL CASO VENGANO CARICATE IMMAGINI DI DIMENSIONI SUPERIORI AGLI 800 PIXEL LE DISCUSSIONI VERRANNO CHIUSE. Grazie per l'attenzione.

Problema immigrazione in italia

pa0la

Florello
ovvio Pinuccia che tutto può esser fatto prima e meglio, ma non credo sia così facile e così immediato per nessuno
potevi recuperare prima i traghetti per cominciare a smistarli? forse, a parte il fatto che nemmeno quello è così semplice, hanno viaggi e rotte programmate e tutto va riposizionato.....ma ammesso e non concesso che le navi potessere essere recuperate prima, se non sai dove portarli perchè non c'è ancora l'accordo con le regioni, perchè i centri non son pronti, perchè la logistica ha i suoi tempi per quanto perfettibili......non lo so, di li a dire che la presunta inefficenza giustifichi lo sputare nella mano ospitante....io non ci riesco
 

Tippy

Giardinauta Senior
Esprimo anche il mio pensiero, che si aggrega comunque a quello di qualcun' altro.
Partiamo dal presupposto che se una persona decide di lasciare il suo Paese per cercare fortuna in un altro non doveva stare tanto bene da dove proveniva..nessuno lascerebbe casa sua, la sua città, il suo Stato se non in situazioni critiche, nonostante NESSUNO ti garantisca che dove andrai verrai trattato meglio, che troverai un lavoro, una casa, ecc...
Chi viene qui sa benissimo che non troverà " l' America", che verrà trattato male perchè anche qua in Italia ci sono (purtroppo..) razzisti, ma nonostante questo decidono di provarci, perchè tanto, peggio di dov' erano..
A questo punto, vi chiedo: credete che sia facile per loro? Provate a mettervi nei loro panni, provate a pensare a cosa fareste se vi trovaste nella loro situazione..mettiamo il caso che si abbia la possibilità di "tentare" di andare verso un Paese che ti da 1 possibilità su 1000 di tornare ad essere una PERSONA, paghi il viaggio coi risparmi di una vita, arrivi là stremato e trovi dei gentilissimi individui che nella migliore delle ipotesi non ti ca''ga neanche oppure ti insultano, malmenano..come vi comportereste? Dai..siamo seri...
 

Tippy

Giardinauta Senior
Sì scusate, era per dire " diciamo le cose come stanno", secondo me sarebbe giusto mettersi nei loro panni..
 

scardan2

Maestro Giardinauta
Dico anche io la mia. Riprendo un post di Root che diceva che sono "solo" 34mila persone su 64milioni.
Ma 34mila è un piccola cittadina. Immagina che un domani un terremoto uccida 34mila persone, non diresti "vabbè, sono solo 34mila su 64milioni". Giusto?

Il problema è che sono 34mila tutti nello stesso posto, una minuscola isoletta che già scoppia, non sono 34mila divisi su tutto il territorio, che vorrebbe dire 1 ogni 1800 abitanti (cioè come se 1 si trasferisse nel mio paesino: nemmeno lo vedrei).

Tra i migranti ci sarà un mix di brutta gente e un mix di brava gente. Il problema è che in Italia le regole non sappiamo farle rispettare, una politica chiara non ce l'abbiamo, lavoro ce ne è poco, possibilità e opportunità stiamo sotto terra, valorizzazione del merito stiamo sotto terra, delle cose serie non ci si occupa, e se funziona qualcosa è sempre nonostante lo stato, mai grazie allo stato. Siamo noi che dovremmo emigrare! :(

Poi le leggi sono diversissime da paese a paese, ma alcune cose di base sono comuni e sono semplicemente buon senso: non rubare e non fare del male agli altri (e quindi meno che meno tua moglie e i tuoi figli), insomma se uno fa queste cose secondo me non è colpa solo della sua religione, è soprattutto colpa della sua testa bacata marcia.
 

carne

Florello Senior
E se leggessi bene quello che ho scritto?

La tua domanda era: i morti annegati potevano essere salvati?
La mia risposta è stata: l'Italia non ha fatto il possibile? Hai provato a vivere in quella situazione prima di condannare chi ci lavora?

Perchè devo rileggere? Spiegati meglio.
 

Pin

Master Florello
La tua domanda era: i morti annegati potevano essere salvati?
La mia risposta è stata: l'Italia non ha fatto il possibile? Hai provato a vivere in quella situazione prima di condannare chi ci lavora?

Perchè devo rileggere? Spiegati meglio.

perchè in nessuna delle mie parole c'era una condanna a chi ci lavora
 

carne

Florello Senior
Scusa...ma se hai detto che han lasciato morire delle persone perchè non li hanno salvati, cosa devo capire...se però non intendevi questo, d'accordo.
So solo che non vorrei essere in quel posto sia per dover prendere delle decisioni difficili, sia perchè mi sentirei impotente di fronte a situazioni inimmaginabili e alla distanza in cui sono non do opinioni, le notizie le prendo con le pinze, ognuno cerca di tirare l'acqua al proprio (parlo dei media) molino intanto la gente finisce nell'acqua davvero.
In tal caso, non c'è motivo di inacidirci noi, si discute tra persone ...o no?.
 

Pin

Master Florello
Scusa...ma se hai detto che han lasciato morire delle persone perchè non li hanno salvati, cosa devo capire...se però non intendevi questo, d'accordo.
So solo che non vorrei essere in quel posto sia per dover prendere delle decisioni difficili, sia perchè mi sentirei impotente di fronte a situazioni inimmaginabili e alla distanza in cui sono non do opinioni, le notizie le prendo con le pinze, ognuno cerca di tirare l'acqua al proprio (parlo dei media) molino intanto la gente finisce nell'acqua davvero.
In tal caso, non c'è motivo di inacidirci noi, si discute tra persone ...o no?.

Infatti, non sono per niente acida.
Discutendo con calma ti avevo detto di leggere quello che avevo scritto.
Tu stessa hai detto che io avevo fatto una domanda, e anche Pa0la, chiedendomi se era una domanda e facendomi notare che non avevo dato risposta.
Mai accusato gli operatori di aver fatto morire qualcuno.
Certo abbiamo notizie filtrate, ma cercando e leggendo a destra e a manca, si sa un po' di più.
Se ci facciamo condizionare dall'informazione pubblica siamo alla frutta.
 
Ultima modifica:

carne

Florello Senior
ops...non intendevo dire a te acida...intendevo di non accapiglirci noi per problemi irrisolvibili.
Buona domenica.
 

akiro

Giardinauta Senior
EMERGENZA UMANITARIA TRA IPOCRISIE E REALTÀ
di Andrea Stuppini 08.04.2011

Un paese di 60 milioni di abitanti, con il 12 per cento della popolazione europea, collocato nel cuore del Mediterraneo, può davvero pensare di non fare i conti con il fenomeno dei richiedenti asilo? Ma è tutto il sistema dell'accoglienza che non funziona e che necessita di una legge organica, con una chiara ripartizione di competenze tra centro e periferia, un coinvolgimento degli enti di tutela e una programmazione degli interventi. Quanto alle risorse, basta ricordare che l'accordo Italia-Libia costa 250 milioni di dollari l'anno, per venti anni.
Da internet.



Sono circa 28mila gli immigrati sin qui arrivati sulle coste italiane. Di questi, solo una minoranza sta facendo domanda di asilo. Nella stragrande maggioranza si tratta di persone venute da noi per ragioni economiche. Secondo la prassi, avrebbero dovuto essere trasferite nei Cie (Centri di identificazione ed espulsione) dove vengono inviate le persone irregolarmente presenti in attesa della loro effettiva espulsione. Ma questi centri sono in tutta Italia tredici per un totale di meno di duemila posti letto.

DOVE VANNO I MIGRANTI

Le strutture destinate alla prima e seconda accoglienza dei profughi e richiedenti asilo sono molto articolate, disegnano un sistema a tre livelli. I Cpsa, Centri di primo soccorso e accoglienza, istituiti con decreto interministeriale del 16 febbraio 2006, sono tre per un totale di 1.204 posti; il più famoso è quello di Lampedusa che da solo può contenere 804 persone. Tre sono anche i Cda, Centri di accoglienza, istituiti nel 1995 dalla cosiddetta “ex legge Puglia”, per complessivi 2.054 posti. Mentre sono cinque per un totale di 998 posti i Cara, Centri di accoglienza per richiedenti asilo, istituiti dal decreto legislativo n. 25 del 28 gennaio 2008 che ha recepito la direttiva “procedure”, ma per il quale dopo tre anni manca ancora il regolamento attuativo. Infine esistono sette centri Cda+Cara per un totale di 2.337 posti.
Si tratta complessivamente di diciotto strutture per circa 6.600 persone che dovrebbero garantire la prima e seconda accoglienza ma che essendo quasi sempre al completo non possono essere utilizzati per fare fronte a una massiccia affluenza.
Esiste poi lo Sprar, Sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati, gestito dagli enti locali in accordo con il ministero degli Interni che dovrebbe occuparsi della terza fase, quando ottenuto lo status di rifugiato, si affrontano le tappe dell’inserimento linguistico, lavorativo e abitativo (tremila posti per un massimo di sei mesi). Spesso però lo Sprar si fa carico anche della prima accoglienza. Nella realtà quindi le distinzioni non sono così chiare, e anche se la strategia del decentramento territoriale ha migliorato la situazione sia per quanto riguarda l’esame delle domande che per l’accoglienza, la mancanza di un disegno organico è evidente.
Teoricamente, un richiedente asilo può fare domanda di accoglienza anche durante la permanenza nei Cie, ma queste strutture sono anch’esse in difficoltà perché il Pacchetto sicurezza (legge 94/2009) ha prolungato la permanenza degli ospiti fino a un massimo di 180 giorni provocando di fatto un effetto saturazione. Tutto ciò peraltro non ha contribuito ad aumentarne l’efficienza in termini di effettive espulsioni.

IL RUOLO DELLE REGIONI

Il 6 aprile è stato firmato un nuovo accordo (dopo quello del 30 marzo) tra Stato, Regioni ed enti locali: per affrontare l’emergenza umanitaria seguita alle rivolte in Tunisia e Libia, viene previsto il ricorso a due importanti strumenti. Il primo è l’articolo 20 del Testo unico sull’immigrazione, ovvero la possibilità di adottare “misure di protezione temporanea per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea”. Il secondo è l’articolo 5 della direttiva 55/2001, emanata dopo la crisi umanitaria conseguente alla guerra in Kosovo, che prevede la concessione di una protezione temporanea in caso di afflusso di sfollati. Poiché si tratta di una disposizione europea, il governo si è assunto l’impegno di sostenerla presso il Consiglio dei ministri dell’Interno dell’Unione.
La prima misura è rivolta ai migranti provenienti dalla Tunisia (quelli che il governo ha definito per settimane “clandestini”) , la seconda a coloro che arrivano dalla Libia (i profughi).
Occorre ricordare che il governo ha iniziato a parlare di un flusso massiccio dal Nord Africa a febbraio, prima che iniziassero gli sbarchi a Lampedusa; all’epoca si parlava di almeno 50mila persone. Perché allora il governo che aveva previsto con così tanto anticipo i fatti (sebbene esagerando un po’ sui numeri) non ha pensato di ricorrere prima ai due strumenti che la normativa consente? Come fu fatto ad esempio nella primavera del 1999, quando l’esecutivo riuscì ad adottare tempestivamente l’articolo 20 per l’emergenza del Kosovo, dal punto di vista dei numeri più grave della attuale.
Nell’accordo del 6 aprile le Regioni e gli enti locali hanno chiesto di superare l’idea delle mega-tendopoli per lasciare spazio all’utilizzo di strutture vere e proprie e a una distribuzione sul territorio per piccoli numeri.
È chiaro tuttavia che l’attuale sistema di accoglienza è insufficiente per affrontare tutto ciò che esula dalla normale amministrazione; occorre pertanto evitare atteggiamenti ipocriti e intervenire con una riforma complessiva.

RIFUGIATI IN ITALIA

Dopo la crisi di Lampedusa, il governo italiano si è ripromesso inoltre di chiedere una revisione della convenzione di Dublino, che regola il diritto di asilo nell’Unione Europea. Proprio in questi giorni è uscito il rapporto 2010 dell’Unhcr, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, con cifre che spiegano perché si tratterà di un’impresa ardua.
Per effetto dell’accordo Italia-Libia del 2008, le domande di asilo presentate in Italia nell’ultimo biennio sono state assai scarse. E anche se guardiamo al quinquennio 2006-2010 il nostro paese con un totale di 80mila domande presentate è solo sesto nell’Unione Europea, preceduto da Francia (185 mila), Svezia (141 mila), Regno Unito (140 mila.000), Germania (131 mila) e Grecia (83 mila).
Un più equo computo dei richiedenti asilo sui residenti di ogni paese, pone però al primo posto Cipro con il 24 per mille, seguito da Malta con il 19 per mille, Svezia 15 per mille e naturalmente Grecia 7,5 per mille (la frontiera del fiume Evros tra Grecia e Turchia si conferma sempre più strategica per la “fortezza Europa”).
La media europea è stata del 2,3 per mille nell’ultimo quinquennio, l’Italia con il suo 1,3 per mille risulta addirittura al di sotto, nonostante nel 2008-2009 l’accordo con la Libia abbia notevolmente ridimensionato i flussi. Un paese di 60 milioni di abitanti con il 12 per cento della popolazione europea, collocato nel cuore del Mediterraneo, dovrà comunque fare i conti con il fenomeno dei richiedenti asilo in futuro, anche se le regole di Dublino fossero riviste (e occorreranno comunque alcuni anni).
Il fenomeno dell’asilo, come quello più generale dell’immigrazione, va quindi considerato come un elemento strutturale. Bisognerebbe poi intendersi sul significato della parola “emergenza” perché oggi in Italia vivono 55mila rifugiati, mentre in Francia sono 200mila e in Germania 600mila.
Ma anche sul fronte delle risorse impiegate, per l’Italia i conti non tornano.
Le strutture sopra elencate assorbono una spesa complessiva di circa cento milioni di euro l’anno per i posti letto, e le piccole strutture dello Sprar (ventidue posti di media) sono più economiche dei grandi centri come i Cara.
Ma cento milioni non sono molti, anzi. Per l’emergenza di queste settimane spenderemo molto di più.
L’accordo con la Libia di Gheddafi (con il quale qualcuno si era illuso di risolvere quasi tutti i problemi) costa 250 milioni di dollari l’anno, per venti anni. Senza contare che i costi morali e di credibilità per il nostro paese sono stati ancora più alti, mentre il costo di vite umane nel Mediterraneo è ancora sconosciuto.
Ora queste risorse potrebbero essere riconvertite proprio per creare un sistema di accoglienza non particolarmente generoso, ma almeno in linea con gli standard europei. Occorre una legge organica sull’asilo con una chiara ripartizione di competenze tra centro e periferia, un coinvolgimento degli enti di tutela, una programmazione degli interventi non inferiore ai dodici mesi, standard qualitativi. Se in futuro ci si troverà ad affrontare i numeri prospettati dal governo in febbraio (parliamo sempre di asilo), va ricordato che la risposta spagnola è stata quella di una maggiore selettività nell’esame delle domande, mentre quella inglese è stata un bilanciamento tra ingressi per asilo e ingressi per migrazione economica.
Chiediamo aiuto all’Europa quando ci conviene, ma sosteniamo il “Pacchetto sicurezza” contraddetto dalla direttiva “rimpatri”; è appena stato varato un decreto flussi per 80mila lavoratori sul quale le Regioni non sono state consultate, ma non è stato previsto l’arrivo di 22mila migranti economici dalla Tunisia.
Sono sicuramente problemi molto complessi, ma non è dato illudersi che qualcuno li risolva al posto nostro.

* Regione Emilia-Romagna. Rappresentante delle Regioni nel Comitato tecnico nazionale sull’immigrazione.

lavoce
 

Olmo60

Guru Master Florello
Stasera ho letto tutte le risposte date in un'altra discussione, e precisamente in "Ma perchè siete tutti pirati?". Veniva fuori, dai veri interventi che all'interno del forum "sembra" si siano formati dei gruppi, e a me è sembrato che fra questi vari gruppi ci fosse dell'astio, qualcosa che "rode"
non so bene come descriverlo....Quasi una rivalità. Naturalmente secondo me tutto rientra nella logica delle simpatie o affiinità che dir si voglia, ma al tempo stesso mi sono chiesta (e qui mi riallaccio al tema dell'immigrazione): ma se persino in un forum si formano "gruppi" di alleanze e affinità, se anche qui si verificano "scontri" come si fa a ritenere "scontata", quasi facile, l'accoglienza di persone estranee? Non credete "che prima ancora che culturale, c'è un fattore antropologico (direi quasi istintivo) a contrapporsi al "diverso"? La mia è solo una riflessione generalizzata, non dico che così è e così sempre sarà, però questo fattore secondo me va tenuto in considerazione quando si da del razzista a qualcuno....
 

rootfellas

Florello
se fosse un fattore antropologico, ci sarebbero molti più sostenitori di Hitler di quanti non ce ne siano realmente, il fattore socio/economico/culturale è predominante, a mio avviso.

Il riferimento alle fazioni o simpatie virtuali che si creano su un forum, è quantomeno opinabile, non penso che ci azzecchi molto col tema immigrazione e razzismo, ci sono centinaia di persone che mi stann oantipatiche, ma non per questo metto i cavalli di frisia davanti a casa mia.
 

Gertrude J.

Maestro Giardinauta
Parte 1

L'Isola delle lacrime ovvero uno dei volti di New York

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La facciata di Ellis Islands

Proprio di fronte a Manhattan, nella bellissima baia naturale in cui è situato il porto di New York, a pochi minuti di traghetto dall’isola principale che costituisce il cuore della Grande Mela, c’è Ellis Island, un isolotto, la prima tappa per oltre quindici milioni di immigrati che partivano dalle loro terre di origine sperando di stabilirsi negli Stati Uniti.
Ellis Island (chiamata in origine Gibbet Island dagli inglesi che la usavano per confinarvi i pirati sorpresi “con le mani nel sacco” e utilizzata poi come impianto di fortificazione e deposito di munizioni) è una delle quaranta isole delle acque di New York: divenne famosa dal 1894 in quanto stazione di smistamento per gli immigranti; venne adibita infatti a questa nuova funzione quando il governo federale assunse il controllo del flusso migratorio, resosi necessario per il massiccio afflusso di immigrati provenienti essenzialmente dall’Europa meridionale e orientale.

La "casa di prima accoglienza-prigione" rimase attiva fino al 1954, quando fu chiusa e abbandonata alle intemperie. Oltre cento milioni di americani possono far risalire la loro origine negli Stati Uniti a un uomo, una donna o un bambino che passarono per la grande Sala di Registrazione a Ellis Island. Oggi è trasformata in Museo dell’Immigrazione: l’ho visitato e ne metto a parte i navigatori della rete.

Fino al 1850 circa non esistevano procedure ufficiali per l’immigrazione a New York. In questa data l’impennata del numero di immigrati europei che fuggivano dalle grandi carestie del 1846 e dalle rivoluzioni fallite del 1848 spinse le autorità ad aprire un centro di immigrazione a Castle Clinton in Battery Park, sulla punta meridionale dell’isola di Manhattan. Verso il 1880 le privazioni che si soffrivano nell’Europa orientale e meridionale e la forte depressione economica nell’Italia meridionale spinsero migliaia di persone ad abbandonare il Vecchio Continente. Al contempo in America stava prendendo il via la rivoluzione industriale, con un crescente processo di urbanizzazione.

Ellis Island fu aperta nel 1894, quando l’America superò un periodo di depressione economica e cominciò a imporsi come potenza mondiale. In tutta Europa si diffusero le voci sulle opportunità offerte dal Nuovo Mondo e migliaia di persone decisero di lasciare la loro patria.

Quando le navi a vapore entravano nel porto di New York, i più ricchi passeggeri di prima e seconda classe venivano ispezionati a loro comodo nelle loro cabine e scortati a terra da ufficiali dell’immigrazione. I passeggeri di terza classe venivano portati a Ellis Island per l’ispezione, che era più dura. Il traghetto storico Ellis Island veniva usato dal Servizio Immigrazione per trasportare gli immigrati che arrivavano e il personale del centro di immigrazione.

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Una nave carica di emigranti giunge nel porto di New York

Ogni immigrante in arrivo portava con sé un documento con le informazioni riguardanti la nave che l’aveva portato a New York. I medici esaminavano brevemente ciascun immigrante e marcavano sulla schiena con del gesso coloro per i quali occorreva un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute; se vi erano condizioni particolari di infermità ciò comportava che venissero trattenuti all’ospedale di Ellis Island.

Dopo questa prima ispezione, gli immigrati procedevano verso la parte centrale della Sala di Registrazione dove gli ispettori interrogavano gli immigranti a uno ad uno. A ogni immigrante occorreva perlomeno una intera giornata per passare l’intero processo di ispezione a Ellis Island.

Le scene sull’isola erano veramente strazianti: per la maggior parte le persone arrivavano affamate, sporche e senza una lira, non conoscevano una parola di inglese e si sentivano estremamente in soggezione per la metropoli ammiccante sull’altra riva.

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Il locale mensa per donne e bambini a Ellis Island
 

Gertrude J.

Maestro Giardinauta
Parte 2

Agli immigrati veniva assegnata una Inspection Card con un numero e c’era da aspettare anche tutto un giorno, mentre i funzionari di Ellis Island lavoravano per esaminarli.
Dopo l’ispezione, gli immigranti scendevano dalla Sala di Registrazione per le “Scale della Separazione” che segnavano il punto di divisione per molte famiglie e amici verso diverse destinazioni. Il centro era stato progettato per accogliere 500.000 immigrati all’anno, ma nella prima parte del secolo ne arrivarono il doppio. Truffatori saltavano fuori da ogni dove, rubavano il bagaglio degli immigrati durante i controlli, e offrivano tassi di cambio da rapina per il denaro che questi erano riusciti a portare con sé. Le famiglie venivano divise, uomini da una parte, donne e bambini dall’altra, mentre si eseguiva una serie di controlli per eliminare gli indesiderabili e i malati. Questi ultimi venivano portati al secondo piano, dove i dottori controllavano la presenza di “malattie ripugnanti e contagiose” e manifestazioni di pazzia. Coloro che non superavano gli esami medici venivano contrassegnati, come già accennato, con una croce bianca sulla schiena e confinati sull’isola fino a diversa decisione, oppure venivano reimbarcati. I capitani delle navi avevano l’obbligo di riportare gli immigrati non accettati al loro porto di origine. Secondo le registrazioni ufficiali tuttavia solo il due per cento veniva rifiutato, e molti di questi si tuffavano in mare e cercavano di raggiungere Manhattan a nuoto o si suicidavano, piuttosto che affrontare il ritorno a casa.

Veniva anche effettuato un esame legale, che controllava la nazionalità e, cosa molto importante, l’affiliazione politica. L’afflusso di immigranti era sempre altissimo e imponente il lavoro dei funzionari che sottoponevano a ispezione e interrogatorio le persone: nel giro di alcune ore veniva deciso il destino di intere famiglie, un fatto che meritò a Ellis Island il nome di “Isola delle lacrime”. La maggior parte degli immigrati veniva esaminata e quindi convogliata verso il New Jersey; una volta arrivati a destinazione gli immigrati si stabilivano in uno dei distretti etnici in rapida espansione.

Il complesso di edifici a Ellis Island è imponente. Il primo edificio fu distrutto da un incendio nel 1897, quello che attualmente è destinato a museo fu costruito nel 1903 e negli anni successivi ne furono edificati molti altri, su interramenti che vennero aggiunti all’isola per adeguare gli spazi disponibili al sempre crescente numero di persone che dovevano transitare di lì.
Gli edifici, poi, furono abbandonati fino alla metà degli anni Ottanta, quando l’edificio principale a quattro torrette venne completamente ristrutturato e riaperto nel 1990 come Museo dell’Immigrazione. E’ un museo che ricrea con forza espressiva l’atmosfera del luogo con film e mostre fotografiche che celebrano l’America come nazione di immigrati.

Circa 10 milioni di americani possono rintracciare le loro radici attraverso Ellis lsland. Al primo piano, sul retro, c’è la mostra "La popolazione d’America", che narra quattro secoli di immigrazione americana, offrendo un ritratto statistico di coloro che arrivavano: chi erano, da dove venivano, perché venivano.

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Immigrati in fila, in attesa dell'ispezione...

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La sala di registrazione

L’enorme Registry Room (Sala di Registrazione), a volta, al secondo piano, teatro di tanta trepidazione, e, qualche volta, di disperazione, e stata lasciata vuota, a parte un paio di banchi degli ispettori e di bandiere americane. Nel salone laterale una serie di stanze per i colloqui ricreano passo per passo la trafila alla quale dovevano sottoporsi gli immigrati per il loro riconoscimento: le stanze rivestite di piastrelle bianche ricordano più una prigione o un istituto per malattie mentali piuttosto che apparire come una tappa nel cammino verso una vita libera e confortata dalla speranza.
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Nelle altre sale le esperienze di vita vissuta sono ricostruite mediante fotografie, testi esplicativi, piccoli oggetti domestici, oggetti d'uso utilizzati per il lungo viaggio (valigie, ceste, sacchi, fagotti...) e le stesse voci registrate dei protagonisti. Vi sono descrizioni dell arrivo e dei successivi colloqui, esempi delle domande poste e degli esami medici effettuati. Uno dei dormitori, destinato a coloro che sostavano per i controlli e la “quarantena”, è rimasto pressoché intatto ed è l'ambiente che più emoziona, oltre a dare, come un flash, l'impressione del "campo di concentramento" . Al piano superiore, alle pareti, è allestita una imponente mostra fotografica dell’edificio prima che venisse ristrutturato: moltissime sono anche le fotografie di singoli emigranti o di interi nuclei famigliari.

Quando gli Stati Uniti entrarono nella prima guerra mondiale nel 1917, i sentimenti anti-immigrazione e le ostilità isolazioniste erano all’apice. Il Klu-Klux-Klan, costituito nel 1915, rifletteva le opinioni di coloro che disprezzavano gli immigrati non inglesi considerandoli di “razza inferiore”.

Mentre gli immigrati dovevano affrontare ostilità di ogni tipo, il ruolo di Ellis Island cambiava rapidamente da centro di smistamento per gli immigrati a centro di detenzione.

Dopo il 1917 l’isola divenne principalmente campo di raccolta e di smistamento per deportati e perseguitati politici. L’immigrazione diminuì sensibilmente all’inizio della prima guerra mondiale e i decreti sull’immigrazione del 1921 e del 1924 di fatto posero fine alla politica di “porte aperte” degli Stati Uniti. Cittadini giapponesi, italiani e tedeschi furono detenuti a Ellis Island durante la seconda guerra mondiale e il centro venne utilizzato principalmente per detenzione fino alla sua chiusura, il 12 novembre 1954.

Oggi Ellis Island, dopo ampi lavori di restauro, è sede del Museo dell’Immigrazione; le esposizioni del Museo, oltre a mostrare oggetti cari portati dalla terra di origine come vestiti, tessuti, fotografie, utensili, illustrano la storia dell’isola, mostrano come gli immigranti venissero ispezionati e narrano come l’edificio fu ristrutturato.

Dall’isola si possono osservare sia la punta sud di Manhattan, sia l’isoletta contigua sulla quale sorge la Statua della Libertà.
Concludo questo breve excursus con un "appunto" del 28 dicembre 1939 dello scrittore e giornalista praghese Egon Erwin Kisch (1885-1948) tratto dal suo libro Sbarcando a New York.
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“Sono di nuovo prigioniero sulla nave. Dall’oblò chiuso vedo il Nuovo Mondo verso il quale da due settimane, due settimane di guerra, sto navigando sulla ‘Pennland’ della linea olandese-americana [...]. L’immigration officer dice che il mio passaporto non è valido, perché un visto cileno ottenuto a Parigi non è sufficiente come visto di transito per l’America [...] Mentre parlava con me, un funzionario gli mostrò un fogliettino, senza dubbio conteneva qualcosa sul mio conto. ‘Lo so’, disse. Quindi mi tocca andare a Island - un eufemismo per Ellis Island, L’isola delle lacrime [...]
Giù dalla ‘Pennland’ sulla quale abbiamo trascorso più di due settimane, giù con tutto il bagaglio (il mio è rimasto in Belgio), nei dock gelidi dove fanno la revisione doganale, poi con un tender all’isola-prigione sorvegliata dalla Statua della Libertà (si riempiono la bocca con la Statua della Libertà) [...]. Ciò che contraddistingue la nostra prigione da ogni altra è la cabina telefonica. Una cella del carcere con cabina telefonica non esiste da nessun’altra parte. Ammesso che uno abbia un nichelino, si può mettere in contatto con il resto del mondo, e al tempo stesso non può. Nessuno può chiamarti [...]. Faccio una passeggiata nel cortile che invece di quattro pareti ne ha soltanto due: quelle mancanti sono acqua.”

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ELLIS ISLAND, nella baia di New York - L'isola delle lacrime


https://www.ellisisland.org/

*************

La citazione riportata a pag. 56 nel libro che acquistai ad Ellis Islands. Tale citazione è quanto detto da un italiano:

"Well, I came to America because I heard the streets were paved with gold. When I got here, I found out three things: first, the streets weren't paved with gold; second, they weren't paved at all; and third, I was expected to pave them."

Old Italian story
 

dragone

Aspirante Giardinauta
Dopo la "parentesi storica" fatta da giraffa,che mi ha lasciato senza parole;provo a trovarne delle altre:
l'immigrazione non e' mai facile per nessuno,chiunque abbondona la propria patria o regione non lo fa' col piacere immenso di trovare il paese dei balocchi,lo fa per salvarsi la pelle.E' anche vero che l'africa e' per noi (occidentali,europei,UOMINI BIANCHI) la ELDORADO che ricercavano i nostri navigatori nelle americhe 500 anni fa' e aggiungo che :"anche giunti alla citta' dell'oro,la sete di potere gli porto' ad effettuare altre ricerche...." questo per dire,in eta' moderna, che non ci e' bastato l'oro nero,gli abbiamo armati affinche' si mantenesse sempre il caos, abbiamo usato le loro terre come magazzino o stanza degli orrori per celare le schifezze prodotte da quella parte di mondo che noi chiamiamo ancora"civilizzata"...e chi si ricorda di Ilaria Alpi capisce di cosa parlo...Vogliamo ancora fare finta di niente?pensare di non essere complici in tutto questo?o andava forse meglio quando non arrivavano nelle nostre terre perche' qualche "missile intelligente" faceva la cernita per noi colpendo civili?le bombe al fosforo (illecite)che hanno usato in afganistan per vuotare i nostri magazzini?e i pappagalli verdi?...ma i nostri amici lo sanno che siamo tra i piu' grandi inventori di armi spietate?
Chiarisco che non difendo a spada tratta nessuno;l'identificazione delle persone e' importante,non confutabile,perche' deve interessare tutti!:politici,gente comune,galeotti,bambini,preti e suore... non devono esistere atolli per ricchi ne galere per il resto del popolo....
La storia insegna che chi ci governa avra' sempre asilo politico da qualche parte...NOI avremo "pan per focaccia"....
Ma un po' di ottimismo ci vuole,qualcuno dice che New York e' stata creata grazie agli immigrati italiani,io dico che il successo dell'industria italiana al nord e' merito,nella misura maggiore degli italiani del sud ,che precisiamo:chiamano tuttora terun ,ed e' un etichetta che si porteranno a vita i figli,i figli dei figli..etc..etc...fino a quando l'italia sara' veramente unita ma non soltanto da una festa ogni 150 anni...(era uno sfogo personale,ma da qualche parte dovevo pur metterlo:lol:)....e visto il tema di costruzioni, cosa aspettiamo?
Dobbiamo costruire citta',strade,ponti,e ristrutturare tutto,come facciamo?aspettiamo altre promesse,illusioni....vogliamo credere ancora ai politici o ci facciamo dare una mano dall'UOMONERO?
 
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Olmo60

Guru Master Florello
se fosse un fattore antropologico, ci sarebbero molti più sostenitori di Hitler di quanti non ce ne siano realmente, il fattore socio/economico/culturale è predominante, a mio avviso.

Il riferimento alle fazioni o simpatie virtuali che si creano su un forum, è quantomeno opinabile, non penso che ci azzecchi molto col tema immigrazione e razzismo, ci sono centinaia di persone che mi stann oantipatiche, ma non per questo metto i cavalli di frisia davanti a casa mia.
Per "fattore antropologico" mi riferivo allo studio delle civiltà umane, come ci riportano appunto gli antropologi come Levì-Strauss che in molti saggi parla delle rivalità nelle stesse tribù primitive (ormai quasi estinte) che ci sono ancora nel nostro pianeta..non so cosa c'entri questo con Hitler, ma forse non ho capito. Per spiegare meglio il mio pensiero, faccio l'esempio dell'eccidio fra Hutu e Tutzi che si ritenevano due etnie diverse e si combattevano. La mia domanda perciò era:non sono solo molti occidentali ad avere riserve verso gli extracomunitari dal momento che anche fra di loro esiste il sentimento dell' "altro" o "diverso" perciò questo dimostra forse che c'è un "istinto" innato ad essere quantomeno ostili a chi non riconosciamo come facente parte del nostro "gruppo" "paese" "cultura" ecc..E' solo una riflessione che non dice che sia giusto così o sbagliato...solo un dato di fatto.
 
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