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raccontino....

Olmo60

Guru Master Florello
Stile di vita alla romana

Prima reggola:

Lavora sempre un pò meno della tua soglia minima di sopportazione, ricordate de abbassà ciclicamente i livelli de detta soglia.
Seconda reggola:

Nun te incazzà coi debboli, nun te incazzà coi forti, nun te incazzà proprio. E ricorda che i debboli fanno finta, domani saranno forti, quinni si proprio devi, menaje subbito, un li fà cresce.

Terza reggola:
Non tutti i mai vengono pè nuoce, quindi tutte le vorte che hai fatto male a quarcuno, nun te sembra ma j'hai fatto bbene, perciò nun te stà a preoccupà, che te frega...

Quarta reggola:
Aiutati che tanto nun t'aiuta nessuno. Ricorda infatti che Dio è onnipresente, quinni si voleva t'aiutava prima.

Quinta reggola:
Nun scaià mai la prima pietra si nun sei sicuro de piallo bene. Sinnò è mejo che t'a conservi pe ddopo.
 

Ari68

Florello
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La libellula e il gelsomino

In una piccola città giapponese, moltissimi anni fa, all’ombra di un ciliegio sempre in fiore, sorgeva una semplice dimora. La casa, piccola e graziosa, era circondata da prati verdi che fiorivano di colori in primavera e vibravano nella brezza del freddo inverno.
Per gli abitanti della cittadina, quella dimora silenziosa era un mistero. In realtà tutti sapevano che la casa non era affatto disabitata perché lì ci viveva Honami.
Honami aveva sedici anni ed era bella come i ciliegi a primavera. La sua pelle risplendeva come le notti di luna piena, i suoi occhi, grandi e belli, erano limpidi come pozze di acqua chiara ed i suoi capelli erano lucente seta nera. Honami era una ragazza silenziosa che usciva di casa il meno possibile. Viveva sola da quando sua madre era morta lasciandola senza nessuno. Non aveva amici e tutti giuravano di non aver mai udito il suono della sua voce. Nessuno poteva lontanamente immaginare quale segreto celassero quegli occhi grandi e scuri. La ragazza, infatti, sin dalla nascita era vittima di un antico incantesimo che, al calar del sole, la trasformava in libellula. Il sortilegio era opera di una vecchia maga, la quale aveva predetto che la bambina si sarebbe trasformata ogni sera in libellula finché non avesse trovato “il profumo della vera amicizia”. Per questo Honami vagava tutte le notti in cerca di qualcuno che potesse spezzare il suo incantesimo. In sedici anni, però, non era mai riuscita a trovare nessuno che riconoscesse in quella libellula dalle ali turchesi, l’animo di una ragazza speciale.
La prima notte di primavera accadde, però, qualcosa di magico. Il prato che circondava la piccola casa all’ombra del ciliegio si riempì di fiori nuovi che si aprivano con le loro corone bianche dagli intensi profumi. Erano gelsomini notturni e Honami non aveva mai visto fiori tanto belli! Volava col suo piccolo corpo di libellula su quell’oceano fiorito che risplendeva di bagliori azzurrini, lasciando che la vita le scorresse dentro. Si sentì finalmente felice e capì che non le importava essere diversa da tutti gli altri perché lei era speciale, era un dono raro. Honami decise di posarsi su un fiore per assaporarne la fragranza inebriante, scegliendone uno solitario il cui profumo era mille volte più intenso. Fluttuò verso di lui e, con assoluta leggerezza, si posò sul suo stelo. Il contatto fu come una piccola scossa e una luce intensissima s’irradiò dal magico fiore. Honami ne fu abbagliata e, quando finalmente riaprì gli occhi, scoprì di non essere più una libellula e che non era più sola poiché, accanto a lei, vi era una ragazza dai capelli color dell’oro e con gli occhi inondati di cielo. Disse di chiamarsi Mo-Li-Hua (fiore di gelsomino) e che, sedici anni prima, una maga le aveva fatto un sortilegio: sarebbe rimasta un fiore di Gelsomino finché una libellula dalle ali turchine non l’avesse liberata dall’incantesimo. Honami e Mo-Li-Hua erano destinate ad incontrarsi e, la loro amicizia, destinata a durare in eterno.

(dal web)
 

sara k

Giardinauta Senior
Stile di vita alla romana

Prima reggola:

Lavora sempre un pò meno della tua soglia minima di sopportazione, ricordate de abbassà ciclicamente i livelli de detta soglia.
Seconda reggola:

Nun te incazzà coi debboli, nun te incazzà coi forti, nun te incazzà proprio. E ricorda che i debboli fanno finta, domani saranno forti, quinni si proprio devi, menaje subbito, un li fà cresce.

Terza reggola:
Non tutti i mai vengono pè nuoce, quindi tutte le vorte che hai fatto male a quarcuno, nun te sembra ma j'hai fatto bbene, perciò nun te stà a preoccupà, che te frega...

Quarta reggola:
Aiutati che tanto nun t'aiuta nessuno. Ricorda infatti che Dio è onnipresente, quinni si voleva t'aiutava prima.

Quinta reggola:
Nun scaià mai la prima pietra si nun sei sicuro de piallo bene. Sinnò è mejo che t'a conservi pe ddopo.
Da romana ti rispondo: buuuuuuuu!!!!!!:lingua::lingua:
 
Ultima modifica:

Olmo60

Guru Master Florello
Il mito dell'estate e dell'inverno
[h=2]IL MITO DI DEMETRA E PERSEFONE[/h]
Scritto daMaria Battafarano
Demetra, figlia di Crono e Gea, è secondo la tradizione mitologica la dea fondatrice e protettrice dell'agricoltura e delle istituzioni familiari. Il suo nome significa significare infatti "Dea Madre" o "Dea dispensatrice". Il mito a cui è legata la figura di Demetra è quello che racconta del ratto, cioè del rapimento, di sua figlia Persefone (ricordata anche con il nome Kore), da parte di Ade, dio degli Inferi.

Persefone è intenta a raccogliere fiori con altre fanciulle quando all'improvviso appare il re degli Inferi e la costringe a seguirlo sul suo carro. Demetra sente l'urlo disperato della figlia, ma è troppo lontana per salvarla.

Inizia così il suo viaggio alla ricerca di Persefone; abbandona l'Olimpo e il suo ruolo di dea delle messi rendendo del tutto sterile la terra e mettendo in pericolo la sopravvivenza del genere umano. Zeus, padre di tutti gli dei e re dell'Olimpo, non può permettere che il genere umano scompaia e con esso le offerte degli uomini per le divinità in occasione dei sacrifici. Ordina così a suo fratello Ade di restituire la fanciulla a Demetra.

Ade esegue l'ordine ma prima di lasciare andare l'amata le fa mangiare alcuni chicchi di melograno. Persefone interrompendo il suo digiuno sarà legata per sempre al mondo degli inferi.

L'origine delle stagioni
Il racconto mitico ci tramanda che da quel momento Persefone trascorrerà sei mesi sul'Olimpo e sei mesi nel mondo dei morti. Tale alternanza scandisce il ritmo delle stagioni: i mesi in cui la dea è negli Inferi corrispondono ai mesi invernali durante i quali il grano è assente dai campi, i mesi in cui è sull'Olimpo corrispondono alla primavera e all'estate, mesi della rinascita vegetativa e della raccolta del grano.

Il culto
Tutto il mondo mediterraneo è costellato di santuari dedicati alle due divinità e il loro culto si sviluppa tra il VII e il IV secolo a. C. Tra le offerte ritrovate durante gli scavi predominano le statuette di Demetra raffigurata con la fiaccola, con il maialino o con le spighe di grano. Sono simboli legati sia al racconto mitologico che alla funzione svolta dalla divinità.

La fiaccola è servita a Demetra per scendere negli Inferi alla ricerca della figlia, il maialino e le spighe sono simboli di fertilità. Gli offerenti di solito portavano nei santuari, come ringraziamento per il dono dell'agricoltura, le primizie dei raccolti, o sottoforma di repliche di terracotta o veri e propri cesti colmi di frutta e cereali.

Nell'immagine, un dettaglio del quadro "Il ritorno di Persefone" di Lord Federick Leighton
 

_ortensia_

Master Florello
Questa è una storia vera di questi giorni, voglio farla conoscere anche a voi perchè a me ha molto commosso:)

Walter aveva sessantotto anni, faceva il pastore in Val Divedro, in terra di confine con la Svizzera. Un mestiere appreso dal nonno. Vita semplice e dura, sentimenti di cristallo, purezza montagnina. Un uomo di sobrietà antica, mai nulla da chiedere, sempre molto da dare. Abitudinario, contemplativo, disponibile. A chi capitava d'incontrarlo sugli alpeggi, e di chiedergli incuriosite notizie sul suo insolito travaglio, rispondeva esaustivo, con la paziente lentezza della cultura contadina. Parole sagge, spicce, utili.

Walter viveva da solo, ma senza patire la solitudine. Amici, benevolenza, riconoscimenti. Lo aveva scortato per decine d'anni la salute, poi fattasi d'improvviso riottosa a rimanergli accanto e infine risoltasi ad abbandonarlo. Ne aveva preso il posto la malattia. Una malattia seria, invalidante. Walter era costretto a scendere una volta la settimana dai pascoli alla città per sottoporsi a sedute di dialisi nell'ospedale di Domodossola. Un sacrificio triste, un calvario penoso, una croce di piombo da portare. Ma la luce sa cogliere il momento e il modo di rompere l'oscurità. Lo colse anche in questo caso.

A Walter fu prospettata la possibilità d'effettuare il trapianto del rene malato. C'era una lista d'attesa, ci si poteva iscrivere, sarebbe venuta l'ora della chiamata salvifica. E difatti quell'ora è venuta, dolce e drammatica insieme, qualche tempo fa. Non molto tempo fa. E' venuta e se n'è andata subito via, per decisione di Walter. Non ho moglie né figli, ha spiegato ai medici che gli annunziavano il prossimo innesto dell'organo sano, ed è meglio che il rene sia donato a chi ne ha più bisogno di me.

Il cuore generoso di Walter ha ceduto proprio durante la terapia. I sodali della sofferenza erano al corrente del suo proposito: della rinunzia ad avere per dare. Ne era informato anche il parroco del paese, che ha raccontato la storia solo il giorno del funerale, carezzando la bara poi condotta a spalle dagli alpini nel cimitero di Varzo. I presenti avvertivano dentro di sé un'imbarazzante piccolezza di fronte a un così grande atto d'altruismo.
La storia di Walter è per davvero una storia, e non una delle mediocri cronache della quotidianità.

Le storie, queste storie, esistono ancora. In una valle ossolana, in qualsiasi valle dove spuntino le lacrime (e non ce ne sono dove non spuntino). Ci restituiscono, queste storie, la gerarchia vera delle priorità della vita, costringono i praticanti dell'egoismo a inginocchiarsi davanti alla carità, riconducono la speranza al centro delle coscienze. Walter è morto in nome d'un valore che non figura in nessuna agenda politica, ma che continua a essere inciso -e ben individuabile da chi lo voglia vedere- nell'agenda dell'anima. Pensiamo a volte (molte volte) d'essere prigionieri degl'indifferenti e schiavi della rassegnazione, ma è un pensare presuntuosamente sbagliato: la libertà dagli uni e dall'altra non appartiene a un sogno inafferrabile, ce la insegna una realtà sorprendente solo all'occhio non abituato a leggerla come si deve.

:Saluto::Saluto:
 

Ari68

Florello
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LE QUATTRO CANDELE

Le quattro candele, bruciando, si consumavano lentamente. Il luogo era talmente silenzioso, che si poteva ascoltare la loro conversazione.
La prima diceva: "IO SONO LA PACE, ma gli uomini non mi vogliono: penso proprio che non mi resti altro da fare che spegnermi!"
Così fu e, a poco a poco, la candela si lasciò spegnere completamente.
La seconda disse: "IO SONO LA FEDE, purtroppo non servo a nulla. Gli uomini non ne vogliono sapere di me, non ha senso che io resti accesa".
Appena ebbe terminato di parlare, una leggera brezza soffiò su di lei e la spense.
Triste triste, la terza candela a sua volta disse: "IO SONO L'AMORE, non ho la forza per continuare a rimanere accesa.
Gli uomini non mi considerano e non comprendono la mia importanza. Troppe volte preferiscono odiare!"
E senza attendere oltre, la candela si lasciò spegnere.
Un bimbo in quel momento entrò nella stanza e vide le tre candele spente.
"Ma cosa fate! Voi dovete rimanere accese, io ho paura del buio!"
E così dicendo scoppiò in lacrime.
Allora la quarta candela, impietositasi disse: "Non temere, non piangere: finché io sarò accesa, potremo sempre riaccendere le altre tre candele: IO SONO LA SPERANZA"
Con gli occhi lucidi e gonfi di lacrime, il bimbo prese la candela della speranza e riaccese tutte le altre.

CHE NON SI SPENGA MAI LA SPERANZA DENTRO IL NOSTRO CUORE... e che ciascuno di noi possa essere lo strumento, come quel bimbo, capace in ogni momento di riaccendere con la sua SPERANZA, la FEDE, la PACE e l'AMORE.
 

_ortensia_

Master Florello
Non so se questa è già stata messa, spero di no:)

UNA BAMBINA CHIESE ALLA MAMMA...PERCHE' PIANGI?.... Perchè sono una donna .. gli rispose. Non capisco disse la bambina... La mamma la strinse a se e le disse : capirai quando sarai una donna … Più tardi la bambina chiese al papà : Perchè la...
mamma piange ? Tutte le donne piangono senza ragione , fu tutto quello che il papà seppe dirgli... Divenuta adulta, chiese a Dio : Signore, perchè le donne piangono
così facilmente? E Dio rispose : Quando l’ho creata, la donna doveva essere speciale.... Le ho dato delle spalle abbastanza forti per portare i pesi del mondo… E abbastanza morbide per renderle confortevoli .. Le ho dato la forza di donare la vita, quella di accettare il rifiuto che spesso le viene dai suoi figli...Le ho dato la forza per permettele di continuare quando tutti gli altri abbandonano. Quella di farsi carico della sua famiglia senza pensare alla malattia e alla fatica... Le ho dato la sensibilità di amare i suoi figli di un amore incondizionato, anche quando essi la feriscono duramente... Le ho dato la forza di sopportare il marito nelle sue debolezze e di stare al suo fianco senza cedere.. E finalmente, le ho dato lacrime da versare quando ne sente il bisogno... Vedi figlia mio, la bellezza di una donna non è nei vestiti che porta, nè nel suo viso, o nella sua capigliatura. La bellezza di una donna risiede nei suoi occhi.... E’ la porta d’entrata del suo cuore ; la porta dove risiede l’amore.... Ed è spesso con le lacrime che vedi passare il suo cuore....
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Federica

Master Florello
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La strada vi venga sempre dinanzi
e il vento vi soffi alle spalle
e la rugiada bagni sempre l’erba
su cui poggiate i passi.
E il sorriso brilli sempre
sul vostro volto.
E il pianto che spunta
sui vostri occhi
sia solo pianto di felicità.
E qualora dovesse trattarsi
di lacrime di amarezza e di dolore,
ci sia sempre qualcuno
pronto ad asciugarvele.
Il sole entri a brillare
Prepotentemente nella vostra casa,
a portare tanta luce,
tanta speranza e tanto calore.

- Don Tonino Bello - inviata da Ari68
 

_ortensia_

Master Florello
IL MIRACOLO=) ♥ )

Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l’amore può fare meraviglie. Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello. I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi.
Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime: “Non ce la facciamo più, cara. Credo sia finita. Solo un miracolo potrebbe salvarlo”.
La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito. Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina. Attese pazientemente il suo turno. Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista meravigliato, posò sul baco tutte le monete.
"Per cos’è? Che cosa vuoi piccola?".
"È per il mio fratellino, signor farmacista. È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo".
"Che cosa dici?" borbottò il farmacista.
"Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c’è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo".
Il farmacista accennò un sorriso triste. "Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli".
"Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora. Quanto costa un miracolo?".
C’era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall’aria molto seria, che sembrava interessato alla strana conversazione. Il farmacista allargò le braccia mortificato. La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine.
L’uomo si avvicinò a lei. "Perché piangi, piccola? Che cosa ti succede?".
"Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa... È per il mio fratellino Andrea che è molto malato. Mamma dice che ci vorrebbe un’operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Per questo ho portato tutto quello che ho".
"Quanto hai?".
"Un dollaro e undici centesimi... Ma, sapete..." aggiunse con un filo di voce, "posso trovare ancora qualcosa...".
L’uomo sorrise "Guarda, non credo sia necessario. Un dollaro e undici centesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!".
Con una mano raccolse la piccola somma e con l’altra prese dolcemente la manina della bambina. "Portami a casa tua, piccola. Voglio vedere il tuo fratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccolo miracolo di cui avete bisogno".
Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano. Quell’uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo. Operò il piccolo Andrea, che potè tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito.
"Questa operazione" mormorò la mamma "è un vero miracolo. Mi chiedo quanto sia costata...".
La sorellina sorrise senza dire niente. Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesimi... più, naturalmente l’amore e la fede di una bambina.
Foto: IL MIRACOLO (è bellissima da leggere =) <3 ) Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l’amore può fare meraviglie. Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello. I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi. Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime: “Non ce la facciamo più, cara. Credo sia finita. Solo un miracolo potrebbe salvarlo”. La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito. Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina. Attese pazientemente il suo turno. Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista meravigliato, posò sul baco tutte le monete. "Per cos’è? Che cosa vuoi piccola?". "È per il mio fratellino, signor farmacista. È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo". "Che cosa dici?" borbottò il farmacista. "Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c’è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo". Il farmacista accennò un sorriso triste. "Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli". "Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora. Quanto costa un miracolo?". C’era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall’aria molto seria, che sembrava interessato alla strana conversazione. Il farmacista allargò le braccia mortificato. La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine. L’uomo si avvicinò a lei. "Perché piangi, piccola? Che cosa ti succede?". "Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa... È per il mio fratellino Andrea che è molto malato. Mamma dice che ci vorrebbe un’operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Per questo ho portato tutto quello che ho". "Quanto hai?". "Un dollaro e undici centesimi... Ma, sapete..." aggiunse con un filo di voce, "posso trovare ancora qualcosa...". L’uomo sorrise "Guarda, non credo sia necessario. Un dollaro e undici centesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!". Con una mano raccolse la piccola somma e con l’altra prese dolcemente la manina della bambina. "Portami a casa tua, piccola. Voglio vedere il tuo fratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccolo miracolo di cui avete bisogno". Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano. Quell’uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo. Operò il piccolo Andrea, che potè tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito. "Questa operazione" mormorò la mamma "è un vero miracolo. Mi chiedo quanto sia costata...". La sorellina sorrise senza dire niente. Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesimi... più, naturalmente l’amore e la fede di una bambina.
 

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Master Florello
Pronto? ciao come stai?...................ho una cosa da dirti.
Aspetta un attimo, ascoltami....................no, non è che non mi interessi quello che vuoi raccontarmi, ma vorrei prima dirti...............ma lo sai che ci sono sempre, pronta ad ascoltarti a supportarti.....................non è vero che non mi interessa, ma volevo..................ho capito hai litigato.......................ma visto che ti ho chiamato io posso....................sei esagerata a dirmi che me ne frego se stai male........................................scusa ma perché non mi hai chiamato prima?......................
Non volevi disturbare, assillarmi con i tuoi problemi?.........................ma riesci ad ascoltarmi un secondo volevo dirti .................si sei disperata, non sai dove sbattere la testa, ma hai provato a guardare .........................ok hai cercato ovunque, se non le hai trovate le chiavi della macchina, puoi ascoltarmi allora o è a senso unico.Ho capito hai litigato con lui perchè hai perso le chiavi della macchina e non trovi il duplicato. Sei disperata, lui ti ha trattato male, tu come stai trattando me? Non mi hai fatto dire una parola........................va bene continua pure tu, io ascolto, poi se ci riesco ti dico che le chiavi le hai lasciate a casa mia.
 

Ari68

Florello
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Un giorno una signora di nome Anna andò a rinnovare la carta d’identità. Quando le chiesero quale fosse la sua professione, rimase interdetta perché non sapeva come classificarsi.
L’impiegato insistette: “Quello che le chiedo è se ha un lavoro”.
“Certo che ho un lavoro!", esclamò Anna. “Sono mamma."
“Essere mamma non lo consideriamo un lavoro. Scrivo “casalinga", disse freddamente l’impiegato.
Una sua amica, di nome Marta venne a sapere quello che le era successo e si fermò a pensarci su.
Un giorno si trovò anche lei nella stessa situazione. L’impiegata era una donna in carriera, attiva e sicura di sé. Il modulo da riempire era enorme, interminabile.
La prima domanda era: “Qual è la sua professione?"
Marta ci pensò un po’ e poi senza nemmeno sapere come rispose:
“Mi occupo di sviluppo infantile e relazioni umane”.
L’impiegata fece una pausa e Marta dovette ripetere lentamente soffermandosi sulle parole più significative.
Compilato il modulo, l’impiegata volle saperne di più. “Signora, posso chiederle che cosa fa esattamente?”.
Senza la minima traccia di agitazione nella voce e con molta calma Marta spiegò: “Sviluppo un programma a lungo termine, dentro e fuori di casa."
Pensando alla sua famiglia, continuò:
"Sono responsabile di una squadra ed ho ricevuto già quattro progetti. Lavoro in regime di coinvolgimento esclusivo 14 ore al giorno, a volte fino a 24 ore.”
Man mano che descriveva le sue responsabilità Marta notò un crescente tono di rispetto nella voce dell’impiegata.
Quando tornò a casa, Marta fu accolta dalla sua squadra: una ragazza di 13 anni, un bimbo di 7 e un altro di 3.
“Mamma, dove sono le mie scarpe? Mamma, mi aiuti ad allacciarle? Mamma il piccolino non smette di piangere. Mamma, mi vieni a prendere quando esco di scuola? Mamma vieni domani alla recita di fine d’anno? Vai a fare la spesa mamma?...Mamma....”
Mentre preparava il pranzo poté ascoltare il suo ultimo progetto: un bebè di sei mesi, che si stava esercitando a provare tutte le tonalità di voce.
Felice, Marta prese in braccio il piccolino e pensò al grande compito della maternità, con le sue innumerevoli responsabilità e interminabili ore di straordinari.
Marta si sedette e pensò: “ Io sono dottoressa in sviluppo infantile, in relazioni umane... e le nonne che professione hanno?”
E subito trovò un titolo anche per loro:
Dottoresse senior in sviluppo infantile e relazioni umane.
E le bisnonne?
Dottoresse esecutive senior.
E le zie?
Assistenti di laboratorio.
E tutte le donne, madri, mogli, amiche e compagne?
Dottoresse nell’arte di rendere la vita migliore.
In un mondo in cui si da tanta importanza ai titoli, in cui si richiede una specializzazione sempre più specifica nell’area professionale, diventa una specialista
nell’arte di amare.
Questo messaggio non è solo per le donne, ma anche per gli uomini perché possano ringraziare e riconoscere tutto il lavoro e le cure che ricevono ogni giorno dalle loro
nonne, madri, zie, sorelle o mogli.
La cosa più importante però è... non dimenticare di amare te stessa prima di tutto! (dal web)
 

Olmo60

Guru Master Florello
il negozio dei sogni

Un bel giorno si aprì nel mio quartiere un nuovo negozio: un negozietto dove erano esposti batuffoli di cotone di a tutte le tinte, con cartellini dai prezzi disparatissimi.


Una ti piccola insegna recava questa parola: «cotonsogno».
Non resistetti alla curiosità ed entrai. Un vecchietto mi fece un bel sorriso e chiese:
In che posso servirvi?
Ecco - cominciai un po' confusa - vorrei sapere che cosa vendete...
Sogni di tutte le tinte, i tipi e per tutte le borse.
Sogni?
Si vendono scarpe, stoffe, biscotti; perché non si venderebbero sogni?
Sono articoli di prima necessità! sogni si fissano sul "cotonsogno".
Nel sonno il cervello , produce immagini, cioè i sogni, che vengono poi assorbiti dal cotone...
Intanto erano entrati vari clienti e il vecchietto si volse a servirli.
Un ragazzino scelse un sogno di "guerra con molta aviazione"; un signore un sogno "giallo, ma senza morti"; una ragazzina un sogno con le "fate, ma senza .draghi, né orchi".
Quando li ebbe accontentati tutti, il vecchietto tornò ad occuparsi di me.
Non avreste un bel sogno di campagna, con fiori e frutta? Preferirei l'uva e... molte farfalle. .
Cercò in vetrina e mi consegnò tra busta morbida di ovatta.
La pagai e tornai a casa. Aprii la busta: c'era anche un biglietto. «Modo d'uso: prendete
il cotonsogno, inumiditelo e, appena a letto, applicatelo sulla fronte.
Entro cinque minuti il sogno si svilupperà da sé».
Mi ficcai a letto e posai il "cotonsogno" sulla fronte.
Chiusi gli occhi, ma non comparve nulla.
Cambiai posizione al batuffolo, lo premetti sulla fronte.
Spazientita, feci un gesto di dispetto e urtai il comodino con la mano.
E mi svegliai di colpo: il negozio dei sogni era stato soltanto un sogno! Peccato, però.



 

Olmo60

Guru Master Florello
Da "L'anello di Re Salomone" K.Lorenz


Nel nostro giardino gli animali vivevano liberi e in grande confidenza con noi "umani".
Infatti da noi le gabbie e le reti avevano una funzione opposta a quella che hanno di solito.
Dovevano impedire agli animali non di fuggire, ma di entrare, in casa o nelle aiuole.
A casa mia si sentivano spesso queste grida di allarme:
Chiudi la finestra, arriva la scimmia!
Tira la rete, arriva il pappagallo!
Ma il più strano modo di usare le gabbie "all'inverso" fu quando nostro figlio primogenito era molto piccolo.
Avevamo con noi alcuni grossi animali, - che potevano essere pericolosi per il piccolo e non sapevamo come fare per tenere il bambino in giardino.
Risolse il problema mia moglie: in quattro e quattr'otto sistemò all'aperto una grossa gabbia e vi mise dentro... nostro figlio.

 

xst84

Giardinauta Senior
Ecco una fiaba irlandese, di Samuel Lover, raccolta da W.B. Yeats, frizzante e piena di intercalare gogoliani che inquadrano l’azione in una cornice tutta sua.

Re O’Toole e la sua oca

Che diamine, credevo che tutto il mondo , in lungo e in largo, avesse inteso parlare di re O’Toole. Beh, non si può mai dire dove arrivi l’ignoranza umana! Bene, signore, dovete sapere, giacchè non l’avete sentito dire prima, che c’era un re chiamato Re O’Toole, il quale era un buon sovrano nei tempi andati, molto tempo fa, ed era lui il padrone delle chiese in quei lontani giorni. Il re, vedete, era proprio un tipo a posto, a amava lo sport come la sua stessa vita, la caccia in particolare; e già al levar del sole, eccolo in piedi a inseguire il cervo oltre quelle montagne; ed erano tempi meravigliosi.

Ebbene, tutto andò benone finchè il re si mantenne in salute; ma vedete, con l’andar del tempo il re invecchiò , e gli si irrigidirono le membra, e quando fu rattrappito dagli anni il cuore gli mancò e fu ridotto allo stremo per mancanza di distrazioni, perché non poteva andare più a caccia, e accidenti, alla fine il povero re dovette procurarsi un’oca che lo distraesse. Oh, potete ridere, se volete, ma quella che vi sto dicendo è la verità; e il modo in cui l’oca lo distraeva era questo; vedete, l’oca andava a nuotare nel lago, si immergeva per cacciare le trote, il venerdì pescava del pesce per il re, e negli altri giorni volava tutt’intorno al lago, facendo divertire il povero re. Tutto andò avanti nel modo migliore finchè, accidenti, l’oca non si rattrappì per via degli anni come il padrone, e non poteva più distrarlo , e allora il povero re rimase completamente a terra.

Una mattina il re stava camminando sulla riva del lago lamentando il suo crudele destino e pensando di annegarsi, perché non poteva a vere nessuna distrazione, quando tutt’un tratto, svoltando l’angolo laggiù, chi ti vide se non un giovane dall’aria molto a posto che veniva verso di lui ?
<<Dio vi protegga>>, dice il re al giovane.
<<Dio protegga anche voi, Re O’Toole>>, dice il giovane.
<<Hai detto bene>>, dice il re; <<sono Re O’Toole>>, dice, <<principe e plenipotenziario di queste parti. Ma com’è che non l’avete saputo?>>, dice.
<<Oh , non importa>>, dice San Kevin.Perchè vedete, quello era San Kevin, proprio lui, il santo travestito, e nessun altro.
<<Oh non ha importanza>>, dice, <<io so un mucchio di cose. Posso permettermi di chiedervi come sta la vostra oca, Re O’Toole?>>, dice. <<Per mille spingarde, ma come fate a sapere della mia oca ?>>, dice il re. <<Oh non importa. Mi è stato riferito>>, dice San Kevin. <<Bene, onest’uomo>>, dice il re, <<e come fate a guadagnarvi il denaro così facilmente ?>> <<Facendo tornare come nuove le cose vecchie>, dice San Kevin. <<Siete un calderaio ?>>, dice il re. <<No>>, dice San Kevin. <<Non sono un calderaio di professione, Re O’Toole. Ho un mestiere migliore di quello del calderaio>>, dice. <<Cosa ne direste>>, dice, <<se facessi tornare come nuova la vostra vecchia oca?>>.

Caro mio, quando sentì parlare di far tornare l’oca come nuova si sarebbe detto che gli occhi del povero re fossero sul punto di schizzargli dalla testa. Il re fece un fischio e la povera oca arrivò di corsa, come un cane da caccia, barcollando verso quel povero storpio del suo padrone, ed erano tali e quali come due monete. Appena vede l’oca, il santo dice: <<Vi farò questo lavoretto, Re O’Toole>>.
<<Perbacco>>, dice Re O’Toole, <<se lo fate dirò che siete il tipo più in gamba delle sette parrocchie.>>. <<Oh, per Diana>>, dice San Kevin, <<dovrete dire ben di più. Non sono tanto rincitrullito>>, dice, <<da rimettervi in sesto la vecchia oca. Cosa mi date se ve lo faccio? Questo è il punto>>, dice San Kevin. << Vi darò qualunque cosa chiediate>>, dice il re. <<Non va bene ? >> <<Non potrebbe andar meglio>>, dice il santo, <<questo sì che è il modo di concludere gli affari. Ora >>, dice, <<ecco il patto che farò con voi, Re O’Toole. Mi darete tutta la terra su cui l’oca volerà, ecco la mia offerta, quando l’avrò fatta tornare come nuova ?>> <<Ve la darò>>, dice il re. <<Non vi rimangerete la parola ?>>, dice San Kevin. <<Parola d’onore!>>, dice Re O’Toole tendendo la mano. <<Parola d’onore>>, ripeté San Kevin. <<Affare fatto. Vieni>>, dice alla povera vecchia oca, <<vieni qui vecchia disgraziata di una storpia, e ti trasformerò in un uccello arzillo. >>. E così dicendo, caro mio, prende l’oca per le due ali, e <<il segno della croce sia su te>>, dice, impartendole allo stesso tempo la grazia con il segno benedetto. E, dopo averla gettata in aria, dice: <<Vola>>, dandole, per aiutarla, solo una soffiata; e con ciò, caro mio, lei prese il via, e volò come un’aquila, facendo tante piroette quante ne fa una rondine prima di un temporale. Ebbene, caro mio, era un bello spettacolo vedere il re che se ne stava lì con la bocca aperta a guardare la sua povera vecchia oca che volava leggera come un’allodola e stava meglio che mai; e quando quella si posò ai suoi piedi le diede un colpetto sul capo dicendo: <<Ma vourneen *, sei la cosa più preziosa che ci sia al mondo>>. << E cosa dite a me>>, dice San Kevin, << che l’ho così trasformata?>> <<Perbacco, dico che niente supera l’arte degli uomini, eccetto le api.>> <<E non dite niente di più?>>, dice San Kevin. <<Dico che vi sono grato>>, dice il re. <<Ma mi darete tutta la terra su cui ha volato l’oca?>>, dice San Kevin. <<Sì>>, dice Re O’Toole, <<e di cuore, anche se dovrò privarmi dell’ultimo acro.>> <<<Ma manterrete la parola?>> <<Quant’è vero il sole>>, dice il re. <<Buon per voi, Re O’Toole, che avete detto così>>, dice il santo, <<perché, se non l’aveste fatto, ma quando mai l’avreste vista volare ancora, la vostra oca!>> Quando il re mantenne la sua parola, San Kevin fu soddisfatto di lui e quindi si fece riconoscere. <<Re O’Toole>>, dice, <<siete un uomo per bene e io sono venuto qui solo per mettervi alla prova. Non mi riconoscete>>, dice, <<perché sono travestito.>> <<Cribbio>>, dice il re, <<chi siete?>> <<Sono San Kevin>>, dice il santo facendosi il segno della croce. <<Oh, Regina del Cielo!>>, dice il re facendosi il segno della corce in mezzo agli occhi e cadendo in ginocchio di fronte al santo, <<ma è proprio con il grande San Kevin che sono stato a discorrere per tutto questo tempo, senza saperlo, proprio come se si trattasse di un ragazzo qualunque? E così voi siete un santo?>>, dice il re. <<Lo sono>>, dice San Kevin. <<Perbacco, pensavo di parlare solo con un bravo ragazzo>>, dice il re. <<Bene, ora sapete la differenza>>, dice il santo. <<Sono San Kevin, il più grande di tutti i santi.>>

E così il re ebbe la sua oca come nuova, per distrarlo, per tutto il tempo che visse. E il santo, che, come vi ho detto, era venuto in possesso delle sue proprietà, mantenne l’oca fino al giorno della sua morte, che avvenne poco dopo, perché un venerdì la povera oca credeva di stare per prendere una trota ma, caro mio, sbagliava; invece di una trota era una maledetta anguilla. Diamine, non fu l’oca a uccidere una trota per il pranzo del re, bensì, cribbio, un’anguilla a uccidere l’oca del re, e non la possiamo biasimare troppo; però non se la mangiò, perché non osò toccare ciò sui cui San Kevin aveva posto le sue mani benedette.




*Figliola mia




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Ari68

Florello
C ‘era una volta un pianeta chiamato Terra. Si chiamava Terra anche se, a dire il vero, c’era molta più acqua che terra su quel pianeta.

Gli abitanti della Terra, infatti, usavano le parole in modo un po’ bislacco. Prendete le automobili, per esempio.
Quel coso rotondo che si usa per guidare, loro lo chiamavano ”volante”, anche se le macchine non volano affatto! Non sarebbe più logico chiamarlo ”guidante”, oppure”girante”, visto che serve per girare? Anche sulle cose importanti si faceva molta confusione.

Si parlava spesso di ”diritti”: il diritto all’istruzione, per esempio, significava che tutti i bambini avrebbero potuto (e dovuto!) andare a scuola.

Il diritto alla salute poi, avrebbe dovuto significare che chiunque, ferito, oppure malato, doveva avere la possibilità di andare in ospedale.

Ma per chi viveva in un paese senza scuole, oppure a causa della guerra non poteva uscire di casa, oppure chi non aveva i soldi per pagare l’ospedale (e questo, nei paesi poveri, è più la regola che l’eccezione), questi diritti erano in realtà dei rovesci: non valevano un fico secco.

Siccome non valevano per tutti ma solo per chi se li poteva permettere, queste cose non erano diritti: erano diventati privilegi, e cioè vantaggi particolari riservati a pochi. A volte, addirittura, i potenti della terra chiamavano “operazione di pace” quella che, in realtà, era un’operazione di guerra: dicevano proprio il contrario di quello che in realtà intendevano.

E poi, sulla Terra, non c’era più accordo fra gli uomini sui significati: per alcuni ricchezza significava avere diecimila miliardi, per altri voleva dire avere almeno una patata da mangiare.

Quanta confusione!Tanta confusione che un giorno il mago Linguaggio non ne poté più. Linguaggio era un mago potentissimo, che tanto tempo prima aveva inventato le parole e le aveva regalate agli uomini.

All’inizio c’era stato un po’ di trambusto, perché gli uomini non sapevano come usarle, e se uno diceva carciofo l’altro pensava al canguro, e se uno chiedeva spaghetti l’altro intendeva gorilla, e al ristorante non ci si capiva mai. Allora il mago Linguaggio appiccicò ad ogni parola un significato preciso, cosicché le parole volessero dire sempre la stessa cosa, e per tutti.

Da allora il carciofo è sempre stato un ortaggio, e il gorilla un animale peloso, e non c’era più il rischio di trovarsi per sbaglio nel piatto un grosso animale peloso, con il suo testone coperto di sugo di pomodoro.

Questo lavoro, di dare alle parole un significato preciso, era costato un bel po’ di fatica al mago Linguaggio. Adesso, vedendo che gli uomini se ne infischiavano del suo lavoro, e continuavano ad usarle a capocchia, decise di dare loro una lezione.

<Le parole sono importanti> amava dire <se si cambiano le parole si cambia anche il mondo, e poi non si capisce più niente> Una notte, dunque, si mise a scombinare un po’ le cose, spostando una sillaba qui, una là, mescolando vocali e consonanti, anagrammando i nomi. Alla mattina, infatti, non ci si capiva più niente.

A tutti gli alberghi di una grande città aveva rubato la lettera gi e la lettera acca, ed erano diventati…alberi! Decine e decine di enormi alberi, con sopra letti e comodini e frigobar, e i clienti stupitissimi che per scendere dovevano usare le liane come Tarzan.

Alle macchine aveva rubato una enne, facendole diventare macchie, e chi cercava la propria automobile trovava soltanto una grossa chiazza colorata parcheggiata in strada.

Alle torte invece aveva aggiunto una esse, erano diventate tutte storte, e cadevano per terra prima che i bambini se le potessero mangiare. Erano talmente storte che non erano più buone nemmeno per essere tirate in faccia.

Nelle scuole si era anche divertito ad anagrammare, al momento dell’appello, la parola presente, e se prima gli alunni erano tutti presenti, adesso erano tutti serpenti, e le maestre scappavano via terrorizzate.

Poi si era tolto uno sfizio personale: aveva eliminato del tutto la parola guerra, che aveva inventato per sbaglio, e non gli era mai piaciuta. Così un grande capo della terra, che in quel momento stava per dichiarare guerra, dovette interrompersi a metà della frase, e non se ne fece nulla. Inoltre aveva trasformato i cannoni in cannoli, siciliani naturalmente, e chi stava combattendo si ritrovò tutto coperto di ricotta e canditi.

Andò avanti così per parecchi giorni, con le scarpe che diventavano carpe e nuotavano via, i mattoni che diventavano gattoni e le case si mettevano a miagolare, il pane che si trasformava in un cane e morsicava chi lo voleva mangiare.

Quanta confusione! Troppa confusione, e gli uomini non ne potevano più.
Mandarono quindi una delegazione dal mago Linguaggio, a chiedere che rimettesse a posto le parole, e con loro il mondo. <E va bene> disse Linguaggio <ma solo ad una condizione: che cominciate a usare le parole con il loro giusto significato.>

<I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti, sennò chiamateli privilegi.

Uguaglianza deve significare davvero che tutti sono uguali e non che alcuni sono più uguali di altri.

E per quanto riguarda la guerra…> <Per quanto riguarda la guerra> lo interruppero gli uomini <ci abbiamo pensato… tienitela pure: è una parola di cui vogliamo fare a meno.>

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Gino Strada, il medico fondatore di Emergency, ha scritto questa storia insieme a sua figlia Cecilia, per spiegare ai bambini il significato di parole come “diritti”, “pace”, “uguaglianza”.
 

Olmo60

Guru Master Florello

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Email della FortUna



Con questa mail ti e stata spedita la FortUna; non la fortuna e basta, e neanche la Fortuna con la F maiuscola, ma addirittura la FortUna con la F e la U maiuscole. Qui non badiamo a spese. Da oggi avrai buona fortuna, ma solo ed esclusivamente se ti liberi di questa mail e la spedisci a tutti quelli che conosci.
Se lo farai potrai:
- produrti in prestazioni sessuali degne di King Kong per il resto della tua vita
- beccherai sempre il verde o al massimo il giallo ai semafori
- (per lui) quando andrai a pescare, invece della solita trota tirerai su una sirena tettona nata per sbaglio con gambe umane
- (per lei) lui sarà talmente innamorato di te che ti vedrà come una sirena tettona nata per sbaglio con le gambe umane

Se invece non mandi questa mail a tutta la tua list entro quaranta secondi, allora la tua esistenza diventerà una grottesca sequela di eventi tragicomici, una colossale barzelletta che susciterà il riso del resto del pianeta, e ti condurrà ad una morte orribile, precoce e solitaria...
No, dai, ho esagerato: hai sessanta secondi.
Cascaci: è tutto vero!
Piddu Polipu, un grossista di aurore boreali cagliaritano, spedì questa mail a tutta la sua lista e il giorno dopo vinse il Potere Temporale della Chiesa alla lotteria della parrocchia.
Ciccillo Pizzapasta, un cosmonauta campano che soffriva di calcoli, si preoccupò di diffondere questa mail: quando fu operato si scoprì che i suoi calcoli erano in realtà diamanti grezzi.
Gianmarco Minaccia, un domatore di fiumi del Molise che non aveva fatto circolare questa mail, perse entrambe le mani in un incidente subito dopo aver comprato un paio di guanti.
Erode Scannabelve, un pediatra mannaro di Trieste, non spedì a nessuno questa mail: dei suoi tre figli uno cominciò a drogarsi, il secondo entrò nel Partito Comunista e il terzo si iscrisse a Ingegneria dei Materiali.
Turiddu Von Wasselvitz, un'allenatore di farfalle da combattimento austro-si****, si fece beffe di questa mail ad alta voce, e in quello stesso istante gli esplose la testa.
Meo Smazza, pornodivo shakespeariano, non diede alcun peso a questa mail: ignoti gli riempirono un profilattico di azoto liquido, e lui se ne accorse solo dopo averlo indossato.
Un tizio che conosco, tal Ermete Atroci, non ha diffuso questa mail e ha disimparato ad andare in bicicletta e la moglie, dopo 30 anni di matrimonio, ha riniziato a fare sesso tutte le sere con lui.

Quindi mi raccomando: spedisci questa mail a tutta la tua list. Se lo fai sarai fortunato, se no rimarrai come adesso (vedi tu).
 
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