rafflesiana
Aspirante Giardinauta
Le Piante Carnivore
Esistono circa 600 specie di piante carnivore, appartenenti a 18 generi.
Generi diversi che in comune hanno la caratteristica di essersi trovati a dover crescere in terreni poveri di sostanze nutritive. Questa mancanza li ha portati, con l’evoluzione, a modificare le loro foglie in modo da poter attirare, catturare, digerire e assorbire insetti e altri piccoli animali per poter da loro avere quelle sostanze che nel terreno erano assenti o scarse.
Le piante carnivore sono distribuite nelle zone tropicali e temperate di tutto il mondo, e non sono per nulla limitate a giungle calde e buie, come vuole l’immaginario collettivo. In Italia ne esistono ben 17 specie, diffuse specialmente in zone montane. Sia le specie italiane che le altre corrono un serio rischio di estinzione, dovuto solo e ovviamente all’espansione dell’uomo. La raccolta illegale delle specie più rare è solo una piccola parte del problema. L’inquinamento e soprattutto l’urbanizzazione sono il vero disastro. Mentre le mani di uno sconsiderato possono rubare di nascosto dal suo habitat solo un numero limitato di piante, una ruspa può distruggere in modo assolutamente legale chilometri di paludi, torbiere, foreste e quant’altro per costruire case, campi da coltivare e strade. In alcuni casi le piante in coltivazione costituiscono addirittura un’importante riserva per le specie che in natura non esistono quasi più.
Le piante carnivore si servono di diversi stratagemmi per catturare le loro prede. Il più diffuso è quello di foglie coperte da tentacoli, sulla cui punta una goccia di colla vischiosa rende prima impossibile la fuga e serve poi da liquido per la digestione (Drosera, Pinguicula, Drosophyllum, Byblis, Triphyophyllum, Roridula e Ibicella). Subito al secondo posto pare che la trappola ad ascidio sia stata la più efficace nel duro percorso evolutivo. Un ascidio è una foglia modificata fino ad assumere la forma di un calice, un tubo o una sacca, tanto per rendere l’idea. All’interno, sotto zone tipicamente scivolose o con peli troppo lisci per essere usati come appiglio, si trovano succhi digestivi, o a volte semplice acqua piovana, che dissolvono le parti molli degli animali (Sarracenia, Nepenthes, Heliamphora, Darlingtonia, Cephalotus, Brocchinia e Catopsis). Poi abbiamo trappole a scatto, con lobi che si chiudono velocemente a imprigionare il malcapitato (Dionaea e Aldrovanda) e trappole a risucchio (Utricularia), con minuscole vescichette che in pochi millesimi di secondo catturano piccoli microrganismi. Per finire c’è la Genlisea, che sottoterra sviluppa dei sottili stoloni cavi, al cui interno dei peli inclinati obbligano le prede a dirigersi verso un rigonfiamento, lo “stomaco” da cui non usciranno più.
Non esistono piante carnivore in grado di nuocere in alcun modo a un essere umano o a un animale domestico.
Coltivazione
Luce. E’ la cosa più importante. Quasi tutte le piante carnivore vogliono la luce diretta del sole per gran parte della giornata. Nei negozi troverete solo piante carnivore che crescono bene con il sole diretto. Abituatevi quindi fin da ora all’idea di doverle mettere fuori, a sud o altrimenti est od ovest, almeno per la primavera e l’estate. Le piante che non erano abituate al sole diretto si bruciacchieranno un po’ ma subito produrranno foglie abituate al nuovo regime. Alcune si abituano anche a stare all’interno, davanti a una finestra molto illuminata e non coperta da tende o altro, ma avranno sempre colori sbiaditi, spesso foglie deformi e saranno facilmente soggette a parassiti. Nell’ambiente naturale queste piante sono soggette ad ore ed ore di un sole che potrebbe farvi spellare la capoccia o rimbambire nel giro di venti minuti. Le specie temperate possono essere lasciate fuori tutto l’anno (Dionea, Darlingtonia e Sarracenia). Le specie tropicali (Nepenthes e le specie di Pinguicula e Drosera di solito in commercio) andranno riportate all’interno quando le temperature cominciano ad andare stabilmente sotto i 15 °C circa. Drosere e pinguicule POSSONO comunque restare fuori se protette dalle gelate e con temperature tra 0 e 5 °C.
Acqua. Le piante carnivore non possono essere bagnate con l’acqua del rubinetto. Il composto e le radici della pianta nel giro di pochi mesi comincerebbero a marcire. Potete quindi usare solo acqua piovana o distillata. L’acqua distillata si trova facilmente al supermarket perché viene usata per il ferro da stiro. Molte persone dopo aver sentito questa indicazione si sono tranquillamente fidate della saggezza popolare e hanno usato acqua del rubinetto lasciata decantare o bollire. Mi spiace, non funziona. Solo acqua piovana o distillata, demineralizzata o deionizzata.
In primavera ed estate potete lasciare le piante in un sottovaso con SEMPRE un centimetro d’acqua dentro. Anche molto di più se si tratta di sarracenie. In autunno e inverno tenete il composto appena umido. Non date mai fertilizzanti o concimi di alcun tipo.
Composta. Le piante carnivore in natura crescono nella torba (ma anche nella sabbia e in alcuni tipi di argilla), un terreno acido che deriva dalla decomposizione dello sfagno, un muschio grosso e spugnoso. Lo sfagno non si trova nei negozi, e non dovete assolutamente usare altri tipi di muschio. La torba si trova in tutti i vivai. La dicitura sulla confezione è “Torba di Sfagno” (“torba bionda di sfagno” o “torba acida di sfagno”). Purtroppo la marca più diffusa sembra essere anche la peggiore. E’ quasi incredibile come in pochi mesi essa possa marcire, puzzare e portare alla rapida morte le vostre piante senza farvi capire il perché, visto che avete seguito a puntino tutti gli altri consigli di questa pagina! La torba in questione è quella della Vigorplant ed è altamente sconsigliata.
La raccolta industriale della torba (per l’orticoltura o come carburante) danneggia gravemente le torbiere, che per formarsi impiegano migliaia di anni ma possono essere distrutte in poche settimane. Per quanto chi coltiva piante carnivore contribuisca solo in piccolissima parte a questo processo (come detto prima, l’urbanizzazione è il vero disastro che avanza con una rapidità davvero preoccupante!) è bene sapere che le nostre coscienze staranno molto meglio quanto prima si abitueranno all’uso di materiali alternativi: lo sfagno in primis, che ormai sempre più spesso viene raccolto in maniera eco-sostenibile e che ricrescendo ogni anno diventa una risorsa inesauribile. Poi ci sono anche la fibra di cocco, la sabbia usata come composto unico senza e altri terricci che per ora restano purtroppo poco reperibili e molto costosi se paragonati alla torba.
Se non usate vasi di terracotta, che permettono un’eccellente aerazione anche degli strati più bassi del composto al loro interno, dovrete mischiare alla torba dei materiali drenanti che facilitino il passaggio dell’ossigeno. L’agriperlite è il migliore ma è difficile da trovare. In alternativa potete usare la sabbia. Chiedete nel vostro negozio di acquariologia se hanno sabbia di quarzo, granito o silicea. Basta che insomma non sia calcarea. Io preferisco la sabbia grossa, di circa 1 mm di diametro, a quella fine. Se non volete usare la sabbia, che drena ma appesantisce il composto, potete usare la corteccia. Compratela però in un negozio di animali o di orchidee, dove hanno la pezzatura fine. Nei vivai trovate solo corteccia grossa, usata per la pacciamatura e decisamente di bassa qualità. Che si tratti di perlite, sabbia o corteccia, il materiale drenante può esser mischiato alla torba in rapporto 30:70 o 50:50, senza dannarvi troppo per trovare una percentuale esatta che dia effetti miracolosi.
I vasi possono essere sia di plastica che di terracotta. La terracotta è più pesante, costosa, fragile e si copre di alghe, ma ha il pregio di mantenere il composto più fresco e ossigenato, cosa particolarmente importante per le piante di Darlingtonia. Per la grandezza del vaso regolatevi guardando l’apparato radicale. Tendenzialmente comprate vasi di diametro pari alla parte più larga della pianta.
Il travaso va fatto solo quando le radici cominciano a fare più volte il giro del vaso (o cominciano ad ammassarsi sul fondo) o quando il composto è vecchio. Nel primo caso rinvasate in un vaso più grande senza disturbare il vecchio pane di terra. Nel secondo caso – un composto in vaso dura circa due o tre anni – togliete dal pane di terra lo strato esterno che viene via più facilmente e invasate aggiungendo del composto fresco. In ogni caso è meglio rinvasare alla fine dell’inverno, prima che le piante ricomincino a crescere.
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Esistono circa 600 specie di piante carnivore, appartenenti a 18 generi.
Generi diversi che in comune hanno la caratteristica di essersi trovati a dover crescere in terreni poveri di sostanze nutritive. Questa mancanza li ha portati, con l’evoluzione, a modificare le loro foglie in modo da poter attirare, catturare, digerire e assorbire insetti e altri piccoli animali per poter da loro avere quelle sostanze che nel terreno erano assenti o scarse.
Le piante carnivore sono distribuite nelle zone tropicali e temperate di tutto il mondo, e non sono per nulla limitate a giungle calde e buie, come vuole l’immaginario collettivo. In Italia ne esistono ben 17 specie, diffuse specialmente in zone montane. Sia le specie italiane che le altre corrono un serio rischio di estinzione, dovuto solo e ovviamente all’espansione dell’uomo. La raccolta illegale delle specie più rare è solo una piccola parte del problema. L’inquinamento e soprattutto l’urbanizzazione sono il vero disastro. Mentre le mani di uno sconsiderato possono rubare di nascosto dal suo habitat solo un numero limitato di piante, una ruspa può distruggere in modo assolutamente legale chilometri di paludi, torbiere, foreste e quant’altro per costruire case, campi da coltivare e strade. In alcuni casi le piante in coltivazione costituiscono addirittura un’importante riserva per le specie che in natura non esistono quasi più.
Le piante carnivore si servono di diversi stratagemmi per catturare le loro prede. Il più diffuso è quello di foglie coperte da tentacoli, sulla cui punta una goccia di colla vischiosa rende prima impossibile la fuga e serve poi da liquido per la digestione (Drosera, Pinguicula, Drosophyllum, Byblis, Triphyophyllum, Roridula e Ibicella). Subito al secondo posto pare che la trappola ad ascidio sia stata la più efficace nel duro percorso evolutivo. Un ascidio è una foglia modificata fino ad assumere la forma di un calice, un tubo o una sacca, tanto per rendere l’idea. All’interno, sotto zone tipicamente scivolose o con peli troppo lisci per essere usati come appiglio, si trovano succhi digestivi, o a volte semplice acqua piovana, che dissolvono le parti molli degli animali (Sarracenia, Nepenthes, Heliamphora, Darlingtonia, Cephalotus, Brocchinia e Catopsis). Poi abbiamo trappole a scatto, con lobi che si chiudono velocemente a imprigionare il malcapitato (Dionaea e Aldrovanda) e trappole a risucchio (Utricularia), con minuscole vescichette che in pochi millesimi di secondo catturano piccoli microrganismi. Per finire c’è la Genlisea, che sottoterra sviluppa dei sottili stoloni cavi, al cui interno dei peli inclinati obbligano le prede a dirigersi verso un rigonfiamento, lo “stomaco” da cui non usciranno più.
Non esistono piante carnivore in grado di nuocere in alcun modo a un essere umano o a un animale domestico.
Coltivazione
Luce. E’ la cosa più importante. Quasi tutte le piante carnivore vogliono la luce diretta del sole per gran parte della giornata. Nei negozi troverete solo piante carnivore che crescono bene con il sole diretto. Abituatevi quindi fin da ora all’idea di doverle mettere fuori, a sud o altrimenti est od ovest, almeno per la primavera e l’estate. Le piante che non erano abituate al sole diretto si bruciacchieranno un po’ ma subito produrranno foglie abituate al nuovo regime. Alcune si abituano anche a stare all’interno, davanti a una finestra molto illuminata e non coperta da tende o altro, ma avranno sempre colori sbiaditi, spesso foglie deformi e saranno facilmente soggette a parassiti. Nell’ambiente naturale queste piante sono soggette ad ore ed ore di un sole che potrebbe farvi spellare la capoccia o rimbambire nel giro di venti minuti. Le specie temperate possono essere lasciate fuori tutto l’anno (Dionea, Darlingtonia e Sarracenia). Le specie tropicali (Nepenthes e le specie di Pinguicula e Drosera di solito in commercio) andranno riportate all’interno quando le temperature cominciano ad andare stabilmente sotto i 15 °C circa. Drosere e pinguicule POSSONO comunque restare fuori se protette dalle gelate e con temperature tra 0 e 5 °C.
Acqua. Le piante carnivore non possono essere bagnate con l’acqua del rubinetto. Il composto e le radici della pianta nel giro di pochi mesi comincerebbero a marcire. Potete quindi usare solo acqua piovana o distillata. L’acqua distillata si trova facilmente al supermarket perché viene usata per il ferro da stiro. Molte persone dopo aver sentito questa indicazione si sono tranquillamente fidate della saggezza popolare e hanno usato acqua del rubinetto lasciata decantare o bollire. Mi spiace, non funziona. Solo acqua piovana o distillata, demineralizzata o deionizzata.
In primavera ed estate potete lasciare le piante in un sottovaso con SEMPRE un centimetro d’acqua dentro. Anche molto di più se si tratta di sarracenie. In autunno e inverno tenete il composto appena umido. Non date mai fertilizzanti o concimi di alcun tipo.
Composta. Le piante carnivore in natura crescono nella torba (ma anche nella sabbia e in alcuni tipi di argilla), un terreno acido che deriva dalla decomposizione dello sfagno, un muschio grosso e spugnoso. Lo sfagno non si trova nei negozi, e non dovete assolutamente usare altri tipi di muschio. La torba si trova in tutti i vivai. La dicitura sulla confezione è “Torba di Sfagno” (“torba bionda di sfagno” o “torba acida di sfagno”). Purtroppo la marca più diffusa sembra essere anche la peggiore. E’ quasi incredibile come in pochi mesi essa possa marcire, puzzare e portare alla rapida morte le vostre piante senza farvi capire il perché, visto che avete seguito a puntino tutti gli altri consigli di questa pagina! La torba in questione è quella della Vigorplant ed è altamente sconsigliata.
La raccolta industriale della torba (per l’orticoltura o come carburante) danneggia gravemente le torbiere, che per formarsi impiegano migliaia di anni ma possono essere distrutte in poche settimane. Per quanto chi coltiva piante carnivore contribuisca solo in piccolissima parte a questo processo (come detto prima, l’urbanizzazione è il vero disastro che avanza con una rapidità davvero preoccupante!) è bene sapere che le nostre coscienze staranno molto meglio quanto prima si abitueranno all’uso di materiali alternativi: lo sfagno in primis, che ormai sempre più spesso viene raccolto in maniera eco-sostenibile e che ricrescendo ogni anno diventa una risorsa inesauribile. Poi ci sono anche la fibra di cocco, la sabbia usata come composto unico senza e altri terricci che per ora restano purtroppo poco reperibili e molto costosi se paragonati alla torba.
Se non usate vasi di terracotta, che permettono un’eccellente aerazione anche degli strati più bassi del composto al loro interno, dovrete mischiare alla torba dei materiali drenanti che facilitino il passaggio dell’ossigeno. L’agriperlite è il migliore ma è difficile da trovare. In alternativa potete usare la sabbia. Chiedete nel vostro negozio di acquariologia se hanno sabbia di quarzo, granito o silicea. Basta che insomma non sia calcarea. Io preferisco la sabbia grossa, di circa 1 mm di diametro, a quella fine. Se non volete usare la sabbia, che drena ma appesantisce il composto, potete usare la corteccia. Compratela però in un negozio di animali o di orchidee, dove hanno la pezzatura fine. Nei vivai trovate solo corteccia grossa, usata per la pacciamatura e decisamente di bassa qualità. Che si tratti di perlite, sabbia o corteccia, il materiale drenante può esser mischiato alla torba in rapporto 30:70 o 50:50, senza dannarvi troppo per trovare una percentuale esatta che dia effetti miracolosi.
I vasi possono essere sia di plastica che di terracotta. La terracotta è più pesante, costosa, fragile e si copre di alghe, ma ha il pregio di mantenere il composto più fresco e ossigenato, cosa particolarmente importante per le piante di Darlingtonia. Per la grandezza del vaso regolatevi guardando l’apparato radicale. Tendenzialmente comprate vasi di diametro pari alla parte più larga della pianta.
Il travaso va fatto solo quando le radici cominciano a fare più volte il giro del vaso (o cominciano ad ammassarsi sul fondo) o quando il composto è vecchio. Nel primo caso rinvasate in un vaso più grande senza disturbare il vecchio pane di terra. Nel secondo caso – un composto in vaso dura circa due o tre anni – togliete dal pane di terra lo strato esterno che viene via più facilmente e invasate aggiungendo del composto fresco. In ogni caso è meglio rinvasare alla fine dell’inverno, prima che le piante ricomincino a crescere.
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