LucaXY
Master Florello
Ho avuto recentemente l'occasione di assistere ad un incontro con un gruppo di detenuti del carcere di Opera; durante il meeting sono state trattate tematiche come:
L'organizzatore dell'incontro (uno psicologo che lavora da diversi anni assieme ai carcerati) ha voluto illustrare come spunto di riflessione il mito di Sisifo, ovvero una storiella nel quale lo stesso personaggio è costretto, per punizione, a spingere un masso su per una montagna, infinite volte, in quanto la pietra, giunta sulla cima, rotola inevitabilmente a valle.
Il senso, come avrete capito, risiede nell'inutilità delle punizioni (o magari di alcune punizioni, aggiungerei io), poiché queste non si pongono un fine concreto che possa aiutare il penitente a redimersi, ad espiarsi dalle colpe... la punizione genererebbe in lui solamente rabbia e peggioramento.
Vi chiedo dunque, come prima cosa, alcune riflessioni in merito; poi anche delle ipotetiche domande che voi stessi porreste a dei detenuti; avrei bisogno di alcuni spunti su cui, più avanti, far riflettere i miei colleghi compagni e i detenuti stessi; forse dovrò anche far pervenire al gruppo di psicologi una lettera, ipoteticamente indirizzata ai carcerati.
Cosa dovrei scrivere in quel foglio?
- è giusto che una persona stia in carcere?
- se non lo è, perché? E' forse vero che, restando rinchiuso per innumerevoli anni, un detenuto riesce a pentirsi ma soprattutto a compiere una crescita interiore? Un carcere, per dare significato all'attesa del criminale, dovrebbe formare le persone? O forse le strutture carcerarie non offrono la possibilità di un miglioramento, di un tentativo di analisi individuale, seguita magari da alcuni psicologi, con lo scopo di rendere diversa la visione del mondo, che apparirà dunque come un luogo nel quale i crimini non devono più essere compiuti per il bene di tutti?
L'organizzatore dell'incontro (uno psicologo che lavora da diversi anni assieme ai carcerati) ha voluto illustrare come spunto di riflessione il mito di Sisifo, ovvero una storiella nel quale lo stesso personaggio è costretto, per punizione, a spingere un masso su per una montagna, infinite volte, in quanto la pietra, giunta sulla cima, rotola inevitabilmente a valle.
Il senso, come avrete capito, risiede nell'inutilità delle punizioni (o magari di alcune punizioni, aggiungerei io), poiché queste non si pongono un fine concreto che possa aiutare il penitente a redimersi, ad espiarsi dalle colpe... la punizione genererebbe in lui solamente rabbia e peggioramento.
Vi chiedo dunque, come prima cosa, alcune riflessioni in merito; poi anche delle ipotetiche domande che voi stessi porreste a dei detenuti; avrei bisogno di alcuni spunti su cui, più avanti, far riflettere i miei colleghi compagni e i detenuti stessi; forse dovrò anche far pervenire al gruppo di psicologi una lettera, ipoteticamente indirizzata ai carcerati.
Cosa dovrei scrivere in quel foglio?