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Cavie..di guerra. che tristezza

Waves

Master Florello
La malvagità umana, oltre che a colpire uomini che non c'entrano nulla, riesce anche a coinvolgere gli animali.
Che rabbia e che tristezza viene leggendo documenti del genere.. ma ve lo consiglio perchè bisogna pur essere consapevoli. Buona lettura, anche se di buono non c'è molto :ciao:

Armi chimiche
Alcuni forse ricordano la spaventosa registrazione dei presunti esperimenti militari di Al-Qaeda che fu mostrata dalla CNN agli USA e al resto del mondo durante la guerra in Afghanistan. Il filmato mostrava l’agonia di un cane chiuso in una stanza in cui veniva liberato del gas tossico.
Il cane cominciava a leccarsi le labbra (l’aumento di saliva è uno dei primi segni di avvelenamento), poi perdeva il controllo delle zampe posteriori e infine giaceva sulla schiena guaendo. Le immagini avevano un forte impatto emotivo, non solo per la loro brutalità ma soprattutto perché i cani sono animali da compagnia particolarmente amati nel mondo anglosassone.

L’esibizione di questo filmato, autentico o contraffatto che fosse, fu evidentemente un’operazione di propaganda finalizzata a sobillare l’opinione pubblica statunitense contro la “barbarie” talebana. Ma un filmato del genere avrebbe potuto benissimo essere di provenienza americana. Esperimenti di questo tipo, infatti, non sono una novità e non sono limitati all’Afghanistan: al contrario, vengono praticati dagli eserciti di tutto il mondo, ed hanno una lunga storia che ha avuto inizio nella nostra Europa, durante il primo conflitto mondiale, quando per la prima volta furono utilizzati gas letali a scopo bellico.

Porton Down, il maggiore centro di ricerca militare del Regno Unito, fu fondato nel 1916 e si trova nel bel mezzo della campagna del Wiltshire. Nel 1949 venne costruita in questa località una speciale fattoria che allevava solo animali destinati al laboratorio. Nel secondo dopoguerra, la ricerca di Porton Down si concentrò in special modo sui gas nervini importati dalle armerie naziste dopo la sconfitta della Germania.
Un primo agente nervino, il tabun, era stato scoperto infatti nel 1939 da uno scienziato tedesco in cerca di un nuovo insetticida. La potenza del tabun sembrava superare di gran lunga quella dei gas impiegati dai tedeschi nella prima guerra mondiale: cani e scimmie intossicati mostravano perdita del controllo dei muscoli, bava, vomito e diarrea, contrazione delle pupille, spasmi degli arti, convulsioni e morte entro 10-15 minuti. Questo effetto devastante è provocato dall’inibizione dell’enzima colinesterasi, il cui compito è idrolizzare il neurotrasmettitore acetilcolina: ne consegue un aumento del livello di acetilcolina che impedisce la trasmissione dei segnali tra i neuroni.

I nazisti scoprirono in seguito altri due agenti nervini ancora più potenti, il sarin e il soman, continuarono la sperimentazione su detenuti e prigionieri nei campi di concentramento e diedero il via ad una massiccia produzione di gas nervini. Fortunatamente, non ne fecero uso contro gli alleati, forse perché convinti che i loro nemici li conoscessero già e fossero preparati a neutralizzarli ed usarli a loro volta.
Non era così. Dopo la fine della guerra, gli angloamericani da una parte e i sovietici dall’altra attinsero agli arsenali tedeschi questi sconosciuti agenti chimici e continuarono la ricerca iniziata dai laboratori nazisti.
Gli Inglesi, che siglarono i tre agenti nervini rispettivamente GA, GB e GD, concentrarono il loro interesse sul sarin (GB). Nelle prime fasi, ratti vennero asfissiati in serie con il GB. In seguito vennero usate scimmie, chiuse in gabbie e vaporizzate con nubi di gas nervino . Il luogotenente della RAF William Cockayne ricordò in seguito come nel 1952 a Porton avesse visto scimpanzé, capre, cani ed altri animali legati a pali e bombardati con proiettili di gas nervino provenienti dalla Germania. Il compito dell’ufficiale era di riunire i cadaveri degli animali dopo la dispersione delle nubi di gas. Malgrado fosse provvisto di maschera antigas e tuta protettiva, Cockayne rimase intossicato e riportò gravi danni al sistema nervoso che vennero inizialmente ritenuti disturbi di tipo psichiatrico. Solo quattordici anni dopo il Ministero della Difesa ammise che Cockayne aveva lavorato a Porton, ma per dare un’immagine rispettabile alla ricerca che lì si svolgeva, si disse che egli era rimasto coinvolto in “esperimenti per stabilire la vulnerabilità dei nostri equipaggiamenti ai gas nervini”, e non alla ricerca di nuovi agenti nervini.

Il test, comune in tossicologia, è chiamato LD50 (Lethal Dose) e serve a definire la dose della sostanza in esame che provoca la morte del 50% dei soggetti a cui viene somministrata (la dicitura LCt50 sta invece per ‘concentrazione letale’, qualora si tratti di sostanza liquida da somministrarsi in soluzione). In alcune specie risulta letale una dose estremamente piccola, mentre in altre una molto maggiore: ciò mostra l’inapplicabilità all’uomo dei test tossicologici sugli animali e, in generale, conferma il principio che nessuna specie può costituire un attendibile modello sperimentale per un’altra specie.



Guerra batteriologica
Nel 1942 l’isola di Gruinard, sulla costa nord-occidentale della Scozia, divenne il fulcro di un massiccio progetto di ricerca, diretto da Porton Down, i cui effetti sul territorio erano destinati a durare fino agli anni ’80. Dopo aver evacuato gli abitanti dell’isola ed avervi lasciato solamente un gregge di pecore, un team di militari ed illustri scienziati fece esplodere una bomba riempita di miliardi di spore di antrace. Una nuvola invisibile si diffuse al di sopra dell’isola; il giorno dopo le pecore cominciarono a morire. Ulteriori esplosioni vennero provocate fino all’estate del ’43. Alla fine di ogni test, le carcasse delle pecore venivano buttate giù da un dirupo, poi la cima veniva fatta esplodere e franando ricopriva i cadaveri[6].
L‘antrace, o carbonchio, è una malattia degli erbivori trasmissibile all’uomo. È causata dal Bacillus Anthracis che, se respirato, si fissa e si moltiplica nei polmoni, trasmettendosi poi a tutto l’organismo, causando tosse, difficoltà respiratoria, febbre alta e infine morte.
 

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Master Florello
Le pecore di Gruinard furono le prime vittime di una potentissima arma batteriologica destinata all’uomo.
Il programma inglese di guerra batteriologica aveva avuto inizio nel 1934. In pochi anni, i laboratori inglesi ed americani arrivarono molto più avanti dei tedeschi. Si studiavano, oltre all’antrace, infezioni come la peste, il tifo, il botulismo (forma letale di avvelenamento da cibo). L’antrace venne codificata dagli inglesi con il nome in codice “N” ed era probabilmente la più potente arma dopo la bomba atomica nelle mani degli Alleati durante la guerra. Nel 1944 Lord Cherwell, consulente scientifico di Churchill, scrisse per il Primo Ministro un rapporto sull’ efficacia dell’antrace: il rapporto fa genericamente riferimento a sperimentazione su animali; per motivi di sicurezza, il copista lasciò spazi bianchi che vennero riempiti personalmente a mano da Cherwell con la scritta “N spores”, ovvero spore di antrace.

Negli Usa, il più importante centro militare di ricerca batteriologica era Camp Detrick, nel Maryland. Qui si studiavano gli effetti di agenti come antrace, morva, brucellosi, tularemia, meliodosi, peste, tifo, psittacosi, febbre gialla, encefalite e varie forme di infezione da riketsia. Nell’ottobre del 1943 cominciò nel Camp Detrick il “Cloud Chamber Project” (progetto della camera-nube), in cui piccoli animali da laboratorio venivano immersi in nubi di agenti biologici concentrati; in questo modo, venne raccolta una massa enorme di dati sulla diffusione delle infezioni per inalazione.
Un ulteriore campo di indagine per i ricercatori militari di Camp Detrick era la trasmissione di malattie attraverso insetti. Negli anni ’50 venne studiata la febbre gialla, i cui vettori erano le zanzare. Del siero tratto da un uomo malato di febbre gialla fu iniettato in alcune scimmie; da esse venne ricavato plasma infetto in cui furono sparse larve di zanzare. Infine i ricercatori fecero pungere dalle zanzare infette dei topi di laboratorio che in tal modo si ammalarono di febbre gialla.

Ancora negli anni ’80, esperimenti del genere condotti nel Camp Detrick sono indicati nel rapporto “The Military’s War on Animals” dell’associazione americana PETA (People for the Ethical Treatment of Animals): per valutare l’effetto della temperatura nella trasmissione del virus Dengue 2, una malattia attaccata dalle zanzare che causa febbre, dolori muscolari ed esantemi, fu rasata la pancia a scimmie rhesus adulte e poi scatole di cartone contenenti zanzare vennero attaccate al loro corpo per consentire alle zanzare di nutrirsi della loro carne . Allo stesso fine, gli sperimentatori di Camp Detrick inventarono anche un mezzo per immobilizzare i conigli che consisteva in una piccola gabbia che bloccava i conigli con dei bastoncini di acciaio mentre venivano divorati dalle zanzare.

Il ritmo impressionante con cui venivano massacrati animali negli esperimenti di guerra batteriologica causò col tempo grandi problemi di pubbliche relazioni ai laboratori militari. Le istituzioni contrattaccarono in diversi modi. In Gran Bretagna, Porton Down produsse più di 600.000 dosi di vaccino durante l’epidemia di influenza “asiatica” nel 1957: fu un’ottima pubblicità per il laboratorio, per far pensare che la ricerca lì praticata fosse finalizzata alla salute pubblica. Ci fu però chi osservò che un laboratorio in grado di produrre 600.000 dosi di vaccino è anche in grado di produrre altrettante dosi di agenti batteriologici mortali. Negli USA invece il Camp Dietrick, che nel 1960 era il maggior sterminatore di porcellini d’india al mondo, sponsorizzò uno zaino per boy scout generosamente equipaggiato, fornì al giornale locale una colonna settimanale di pettegolezzi e preparò una serie di speakers per i gruppi di discussione locale.
Per quanto riguarda l’Unione Sovietica, essa affermò di aver distrutto le proprie armi batteriologiche in seguito alla Convenzione sulle Armi Biologiche del 1972, un trattato internazionale in cui USA, Gran Bretagna, Canada, Giappone, Germania Ovest e tutti gli Stati del Patto di Varsavia si impegnavano a “non sviluppare, produrre, acquisire o possedere in alcun modo e in alcuna circostanza” armi biologiche. Ma molti anni dopo si scoprì che la realtà era ben diversa.

Numerosi siti di ricerca militare sparsi sul territorio sovietico avevano continuato la loro attività. L’isola di Vozrozhdeniye (in russo, “Isola della Rinascita”) nel Mare d’Aral, costituiva un’enorme area di sperimentazione a cielo aperto in cui file e file di scimmie venivano ammucchiate e bombardate con antrace, tularemia, brucellosi, peste, febbre Q e altre infezioni. Questa stessa isola, durante la dissoluzione dell’Unione Sovietica, venne usata come “discarica” di virus e batteri letali per evitare che il processo di disgelamento fosse compromesso dalla scoperta delle violazioni della Convenzione del ’72. Centinaia di tonnellate di batteri di antrace vennero così trasferite in giganteschi barili di acciaio inossidabile che furono ricoperti di candeggina per decontaminare il loro micidiale contenuto e seppelliti in enormi pozzi nella remota isola. Malgrado tali precauzioni, dopo 10 anni sono state scoperte spore ancora vive e potenzialmente letali. Ciò rappresenta un grave pericolo: oltre infatti alla possibilità che i germi vengano dissepolti da topi, tartarughe, lucertole o uccelli e trasmessi all’uomo per contatto diretto, la facilità di accesso all’isola potrebbe spingere gruppi terroristici ad appropriarsi di queste armi di spaventosa portata.

Strategie militari
Durante la seconda guerra mondiale, l’esercito americano usò cani kamikaze per far saltare in aria i panzer tedeschi. Nel libro A Higher Form of Killing, Robert Harris e Jeremy Paxman descrivono come i cani appena svezzati venissero tolti alle madri e venisse loro dato il cibo solo sotto alla “pancia” dei carri armati. Una volta sul campo di battaglia, i cani venivano tenuti a digiuno, con un esplosivo e un’alta antenna di comando sul dorso. Quando i panzer tedeschi si avvicinavano, gli animali affamati venivano rilasciati. Correndo istintivamente sotto ai carri nemici per cercare il cibo, l’antenna strisciava contro la pancia di metallo, facendo detonare l’esplosivo e distruggendo carro armato e cane.
Piani ancora più fantasiosi vennero preparati dall’OSS, il precursore della CIA. Uno di essi era focalizzato sull’istintiva paura dell’acqua dei gatti e sulla loro leggendaria abilità di atterrare sempre sui loro piedi. Gli scienziati dell’OSS immaginarono di attaccare una bomba alle zampe del gatto che sarebbe stato poi imbracato sotto ad un aereo da combattimento. Durante la picchiata sulle navi da guerra naziste, il gatto sarebbe stato rilasciato e, nella disperazione di evitare l’acqua, avrebbe quasi certamente condotto la bomba sul ponte delle navi nemiche. Gli esperimenti furono un fiasco: gli animali perdevano conoscenza molto prima che la nave potesse servire da spazio di atterraggio.

Dai primi anni ’60, gli scienziati militari hanno spostato la loro attenzione sui cetacei, sia come strumento di ricerca che come macchina da guerra. I piani più sinistri includevano l’addestramento dei delfini ad attaccare esplosivi e dispositivi-spia elettronici sulle navi e sui sottomarini nemici.
 

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Nel 1972, la marina statunitense ha sviluppato segretamente un gruppo di focene da guerra in Vietnam. Per almeno un anno, questi delfini sperimentali sono stati usati per proteggere le baie strategiche in territorio vietnamita dall’infiltrazione degli uomini rana nemici. Secondo il Dr. James Fitzgerald, pioniere nella ricerca sui delfini per la CIA e la marina statunitense, dopo aver sorpreso un sommozzatore intruso, gli animali venivano addestrati a togliergli la maschera e le pinne, tagliare il tubo dell’ossigeno e infine “catturarlo per l’interrogatorio”. In realtà sembra che i delfini che hanno “combattuto” in Vietnam siano stati molto meno benevoli. Molti addestratori, infatti, diedero le dimissioni disgustati dal crescente ed abietto sfruttamento dei cetacei da parte dell’esercito USA ed alleviarono il loro senso di colpa rivelando almeno in parte i segreti militari al pubblico. Secondo il Dr. Michael Greenwood, i delfini della marina erano stati anche addestrati ad uccidere, con coltelli attaccati alle pinne e al muso e con grandi siringhe ipodermiche piene di biossido di carbonio pressurizzato che, una volta iniettato all’uomo-rana nemico, si espandeva rapidamente facendolo letteralmente esplodere. Anni dopo, fu rivelato che i delfini killer in Vietnam erano stati responsabili della morte di 40 vietcong subacquei e (accidentalmente) 2 militari americani. “Non sanno riconoscere la differenza tra un amico e un nemico”, spiegò un ex addestratore della CIA. Il concetto di amico e nemico mortale all’interno della medesima specie è un concetto alieno per i delfini.


Malgrado la Marina ammetta di esser stata capace di “programmare i delfini e tenerli sotto controllo per distanze fino a molte miglia”, essa negò strenuamente di averli sottoposti a condizionamento attraverso la stimolazione cerebrale. L’addestramento, comunque, rimase strettamente segreto, spingendo il Dr. Farooq Hussain del Dipartimento di Biofisica del King’s College (Università di Londra) a chiedersi: “Come può un animale che per secoli è stato celebrato solo per la sua intelligenza e la sua socievolezza verso l’uomo, ora essere addestrato da un uomo a ucciderne un altro? Di certo viene usata l’elettrostimolazione dei centri nervosi del piacere e del dolore per indurre e ricompensare un comportamento aggressivo. Di tutte le attività depravate e disgustose di cui l’uomo è capace, questa in particolare è ai primi posti”.
Le tecniche di addestramento accertate, comunque, non sono meno crudeli. I delfini vengono “controllati” attraverso la privazione del cibo. Quando sono sazi, sono molto difficili da controllare perché non hanno un incentivo a ritornare. Quindi, quando vanno in missione, vengono equipaggiati con un pezzo di velcro avvolto intorno al muso (conosciuto come AFD, “Anti-Foraging Device” ovvero mezzo anti foraggiamento) che impedisce loro di aprire la bocca per catturare pesci. Ciò li spinge a fare ritorno alla base. Quando un delfino è fuori, viene rilasciato un fischio di richiamo ad una frequenza che può essere sentita dagli animali a lunga distanza. Se ritornano dopo averlo udito, vengono ricompensati: l’AFD viene rimosso e ricevono del cibo.
Nella primavera del 1989, Rick Trout, che aveva lavorato come addestratore di animali per la Marina dal 1985 al 1988, rivelò che delfini e foche dell’esercito erano stati affamati durante il loro addestramento al Naval Ocean System Center di San Diego in California, e anche presi a pugni e a calci. Documenti ufficiali mostrano che 13 delfini sono morti nelle mani della Marina in 3 anni, più della metà di fame o di disordini di stomaco.
Bisogna sottolineare anche che l’uso dei delfini come strumento militare mette in pericolo i delfini indigeni dell’area in cui sono impiegati. Le truppe nemiche non sanno quali sono i delfini dell’avversario e quali no: ne consegue che uccidono tutti quelli che trovano.
La Marina attualmente possiede, addestra o impiega almeno un centinaio di cetacei, e un team di delfini usato per pattugliare le acque intorno le basi nucleari sottomarine in Georgia, Connecticut e Washington. Comunque, è stato riferito che numerosi di delfini e leoni marini sono sfuggiti ai loro aguzzini. Secondo funzionari locali per la conservazione, molti leoni marini sono comparsi recentemente sulle spiagge dell’isola di San Miguel, sulla costa della California meridionale, con ancora addosso i finimenti dell’equipaggiamento della Marina.

Ricerca spaziale
Negli anni ’60, il governo statunitense ha usato scimpanzé ed altri primati in numerosi esperimenti relativi all’esplorazione spaziale. Il primo astronauta americano della storia fu in effetti uno scimpanzé di nome Ham, che venne lanciato nello spazio nel 1961. Ham faceva parte di una colonia di scimpanzé allevati presso la base Holloman dell’aeronautica militare in New Mexico. La ricerca spaziale sponsorizzata dal governo continuò ad usare animali presi da questa colonia fino al 1970, quando il programma di ricerca su scimpanzé terminò. I 141 scimpanzé superstiti furono in gran parte ceduti ad altri laboratori di ricerca; solo 30 ebbero la fortuna di finire al Primarily Primates, una riserva di animali a San Antonio, dove trascorreranno al sicuro il resto della loro vita.


Questi orrori sono giustificati dalla necessità della “difesa”. Tutte le forme di abuso sugli animali vengono spiegate come un vantaggio irrinunciabile per la nostra specie. È stato detto ed è tuttora ribadito che i nostri laboratori lavorano per noi, per la nostra salute e per la protezione delle nostre vite. Ma chi può crederci?

Le vite di milioni di esseri, umani ed animali, possono essere salvate: esistono tecniche di laboratorio diverse, riconosciute valide, così come esiste sempre una soluzione diplomatica ad una possibile guerra. Di fatto, però, i metodi alternativi non vengono adottati, così come le soluzioni diplomatiche raramente vengono perseguite. Prendere atto dell’esistenza di alternative evidentemente non basta: chi ha l’autorità per decidere non è interessato a condurre una strategia che massimizzi il bene (la conservazione della vita, animale in un caso o umana nell’altro) o il vero (l’uso di un metodo scientificamente più attendibile o la risoluzione di un conflitto mediante il riconoscimento dei giusti diritti delle parti in causa). Occorre riconoscere che i fattori di scelta appartengono ad una sfera diversa dal vero e dal bene: la sfera del potere e del guadagno.

In questo modo, cominciamo ad accorgerci che animali ed umani insieme sono indiscriminatamente vittime di un meccanismo di potere esteso, ramificato e complesso, che non può essere spiegato semplicisticamente in termini di “malvagità” umana ma che deve essere capito e combattuto.

Capito nella sua globalità attraverso l’esercizio della critica, che svela l’inconsistenza delle verità imposte.
Combattuto attraverso il rifiuto di queste verità e la costruzione di una scelta politica e morale autonoma, sganciata dalle strategie del profitto e dai saperi autoritari, orientata verso una riorganizzazione della sfera etica sulla base di valori di comprensione, accoglienza, cura.
 
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