vincecos.2484
Bannato
Vediamo che succede in voi.
http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/03/25/news/libro_saviano-2883442/?ref=rephpnews
Roberto Saviano torna con un libro e un dvd dal titolo "La parola contro la camorra"
Ne anticipiamo un brano. Le organizzazioni criminali temono i libri, i discorsi e i pensieri
Così le parole cambiano il mondo
di ROBERTO SAVIANO
SPESSO mi si chiede come sia possibile che delle parole possano mettere in crisi organizzazioni criminali potenti, capaci di contare su centinaia di uomini armati e su capitali forti. E come è possibile - questa domanda mi viene ripetuta spessissimo, soprattutto all'estero - che uno scrittore possa mettere in crisi organizzazioni capaci di fatturare miliardi di euro l'anno e di dominare territori vastissimi?
È complicato dare una sola risposta e, in verità, l'unica risposta che mi viene in mente, la più plausibile è che sia proprio la diffusione della parola a mettere paura. Non è lo scrittore, l'autore, non è neanche il libro in sé, né la parola da sola, che riesce ad accendere riflettori e per questo a mettere paura. Quello che realmente spaventa è che si possa venire a conoscenza di determinati eventi e, soprattutto, che si possano finalmente intravedere i meccanismi che li hanno provocati. Quel che spaventa è che qualcuno possa d'improvviso avere la possibilità di capire come vanno le cose. Avere gli strumenti che svelino quel che sta dietro. E soprattutto avere la possibilità di percepire determinate storie come le proprie storie. Non più come storie lontane, non più come vicende geograficamente distanti, ma come facenti parte della propria vita. Allora ciò che più temono le organizzazioni criminali non è soltanto la luce continua che gli viene posta addosso, ma soprattutto che migliaia, forse milioni di persone in Italia e nel mondo, possano sentire le loro vicende e il loro destino come qualcosa che riguarda tutti.
Qualcuno può credere che questa sia una visione troppo mediatica e quindi distante dalla realtà. Ma non è così. Molti episodi dimostrano che l'attenzione, anche degli intellettuali e degli artisti, data alle organizzazioni criminali e a quello che accade intorno a loro ha realmente cambiato le cose e il destino di molte persone. La storia di Giuseppe Impastato, giornalista ucciso a Cinisi in Sicilia nel 1978, ne è un esempio. Quando Impastato fu ucciso, l'opinione pubblica venne inconsapevolmente condizionata dalle dichiarazioni che provenivano da Cosa Nostra. Che si fosse suicidato in una sottospecie di attentato kamikaze per far saltare in aria un binario. Questa era la versione ufficiale, data anche dalle forze dell'ordine. Poi, dopo più di vent'anni, esce un film, I cento passi, che non solo recupera la memoria di Giuseppe Impastato - ormai conservata solo dai pochi amici, dal fratello, dalla mamma - ma, addirittura, la rende a tutti, come un dono. Un dono allo stato di diritto e alla giustizia. Questa memoria recuperata arriva a far riaprire un processo che si chiuderà con la condanna di Tano Badalamenti, all'epoca detenuto negli Stati Uniti. Un film riapre un processo. Un film dà dignità storica a un ragazzo che invece era stato rubricato come una specie di matto suicida, un terrorista.
È successo per molte persone. Pippo Fava, giornalista de I Siciliani, una rivista che stava dando molto fastidio a Cosa Nostra, viene ucciso mentre sta andando a prendere la nipotina a teatro. Gli sparano in testa, lo sfregiano. Gli omicidi delle organizzazioni criminali hanno sempre una sintassi simbolica. Sparare in faccia, per esempio, ha un significato diverso rispetto a sparare al petto. A Pippo Fava lo sfregiano, gli sparano alla nuca e pochissime ore dopo iniziano a diffondere la notizia, che poi diventerà la versione ufficiale nella società civile catanese - o forse bisognerebbe definirla incivile - che era stato ucciso perché "puppo", ovvero omosessuale, come dicono in Sicilia. Perché aveva messo le mani addosso a dei ragazzini fuori dalla scuola. Si erano inventati questa balla per delegittimarlo, per suscitare fastidio al solo pronunciare il suo nome. Per suscitare quella sensazione di diffidenza nelle persone, che trova terreno fertile in simili circostanze.
Chiunque si occupi di mafie sente questa melma intorno a sé: la melma della diffidenza. Io ci convivo da anni; dal primo giorno. Va di pari passo con la mia quotidianità sentire diffidenza, soprattutto quella degli addetti ai lavori, infastiditi spesso per il solo fatto che sei arrivato a molte persone. Questo, soprattutto, a intellettuali e giornalisti non torna. "Come mai sei arrivato a tante persone?" In un Paese dove chi arriva a tanti spesso è sceso a patti con qualche potere o ha scelto di compromettere le proprie parole. "Dove hai tradito? Dove ti sei venduto? Con chi ti sei alleato?". Il cinismo degli addetti ai lavori è sempre questo: arrivare a un pubblico vasto di lettori, di ascoltatori, di osservatori, significa tutto sommato accettare i codici più bassi, più biechi della comunicazione.
La copertina del libro
Ebbene, le organizzazioni criminali non sono tanto diverse nel valutare e nel delegittimare i propri nemici. Le organizzazioni criminali hanno necessità di portare avanti un assioma: chi è contro di noi lo fa per interesse personale. Chi è contro di noi sta diffamando il territorio, perché noi non esistiamo come loro ci raccontano. Chi è contro di noi è pagato da qualcuno per essere contro di noi. E, nella migliore delle ipotesi, sta facendo carriera personale su di noi.
Le parole, quando arrivano a molte persone, quando raccontano di certi poteri, diventano assai pericolose. Assai pericolose perché il rischio è che a difenderle debba essere il tuo corpo, il tuo sangue, la tua stessa carne. È successo a moltissimi scrittori, a moltissimi giornalisti. L'Italia ha una caratteristica che in genere, quando raccontano di noi, non viene riportata: l'Italia è un Paese cattivo. Molto cattivo. Perché è un Paese dove è difficile realizzarsi, dove il diritto sembra un privilegio.
http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/03/25/news/libro_saviano-2883442/?ref=rephpnews
Roberto Saviano torna con un libro e un dvd dal titolo "La parola contro la camorra"
Ne anticipiamo un brano. Le organizzazioni criminali temono i libri, i discorsi e i pensieri
Così le parole cambiano il mondo
di ROBERTO SAVIANO
SPESSO mi si chiede come sia possibile che delle parole possano mettere in crisi organizzazioni criminali potenti, capaci di contare su centinaia di uomini armati e su capitali forti. E come è possibile - questa domanda mi viene ripetuta spessissimo, soprattutto all'estero - che uno scrittore possa mettere in crisi organizzazioni capaci di fatturare miliardi di euro l'anno e di dominare territori vastissimi?
È complicato dare una sola risposta e, in verità, l'unica risposta che mi viene in mente, la più plausibile è che sia proprio la diffusione della parola a mettere paura. Non è lo scrittore, l'autore, non è neanche il libro in sé, né la parola da sola, che riesce ad accendere riflettori e per questo a mettere paura. Quello che realmente spaventa è che si possa venire a conoscenza di determinati eventi e, soprattutto, che si possano finalmente intravedere i meccanismi che li hanno provocati. Quel che spaventa è che qualcuno possa d'improvviso avere la possibilità di capire come vanno le cose. Avere gli strumenti che svelino quel che sta dietro. E soprattutto avere la possibilità di percepire determinate storie come le proprie storie. Non più come storie lontane, non più come vicende geograficamente distanti, ma come facenti parte della propria vita. Allora ciò che più temono le organizzazioni criminali non è soltanto la luce continua che gli viene posta addosso, ma soprattutto che migliaia, forse milioni di persone in Italia e nel mondo, possano sentire le loro vicende e il loro destino come qualcosa che riguarda tutti.
Qualcuno può credere che questa sia una visione troppo mediatica e quindi distante dalla realtà. Ma non è così. Molti episodi dimostrano che l'attenzione, anche degli intellettuali e degli artisti, data alle organizzazioni criminali e a quello che accade intorno a loro ha realmente cambiato le cose e il destino di molte persone. La storia di Giuseppe Impastato, giornalista ucciso a Cinisi in Sicilia nel 1978, ne è un esempio. Quando Impastato fu ucciso, l'opinione pubblica venne inconsapevolmente condizionata dalle dichiarazioni che provenivano da Cosa Nostra. Che si fosse suicidato in una sottospecie di attentato kamikaze per far saltare in aria un binario. Questa era la versione ufficiale, data anche dalle forze dell'ordine. Poi, dopo più di vent'anni, esce un film, I cento passi, che non solo recupera la memoria di Giuseppe Impastato - ormai conservata solo dai pochi amici, dal fratello, dalla mamma - ma, addirittura, la rende a tutti, come un dono. Un dono allo stato di diritto e alla giustizia. Questa memoria recuperata arriva a far riaprire un processo che si chiuderà con la condanna di Tano Badalamenti, all'epoca detenuto negli Stati Uniti. Un film riapre un processo. Un film dà dignità storica a un ragazzo che invece era stato rubricato come una specie di matto suicida, un terrorista.
È successo per molte persone. Pippo Fava, giornalista de I Siciliani, una rivista che stava dando molto fastidio a Cosa Nostra, viene ucciso mentre sta andando a prendere la nipotina a teatro. Gli sparano in testa, lo sfregiano. Gli omicidi delle organizzazioni criminali hanno sempre una sintassi simbolica. Sparare in faccia, per esempio, ha un significato diverso rispetto a sparare al petto. A Pippo Fava lo sfregiano, gli sparano alla nuca e pochissime ore dopo iniziano a diffondere la notizia, che poi diventerà la versione ufficiale nella società civile catanese - o forse bisognerebbe definirla incivile - che era stato ucciso perché "puppo", ovvero omosessuale, come dicono in Sicilia. Perché aveva messo le mani addosso a dei ragazzini fuori dalla scuola. Si erano inventati questa balla per delegittimarlo, per suscitare fastidio al solo pronunciare il suo nome. Per suscitare quella sensazione di diffidenza nelle persone, che trova terreno fertile in simili circostanze.
Chiunque si occupi di mafie sente questa melma intorno a sé: la melma della diffidenza. Io ci convivo da anni; dal primo giorno. Va di pari passo con la mia quotidianità sentire diffidenza, soprattutto quella degli addetti ai lavori, infastiditi spesso per il solo fatto che sei arrivato a molte persone. Questo, soprattutto, a intellettuali e giornalisti non torna. "Come mai sei arrivato a tante persone?" In un Paese dove chi arriva a tanti spesso è sceso a patti con qualche potere o ha scelto di compromettere le proprie parole. "Dove hai tradito? Dove ti sei venduto? Con chi ti sei alleato?". Il cinismo degli addetti ai lavori è sempre questo: arrivare a un pubblico vasto di lettori, di ascoltatori, di osservatori, significa tutto sommato accettare i codici più bassi, più biechi della comunicazione.
La copertina del libro
Ebbene, le organizzazioni criminali non sono tanto diverse nel valutare e nel delegittimare i propri nemici. Le organizzazioni criminali hanno necessità di portare avanti un assioma: chi è contro di noi lo fa per interesse personale. Chi è contro di noi sta diffamando il territorio, perché noi non esistiamo come loro ci raccontano. Chi è contro di noi è pagato da qualcuno per essere contro di noi. E, nella migliore delle ipotesi, sta facendo carriera personale su di noi.
Le parole, quando arrivano a molte persone, quando raccontano di certi poteri, diventano assai pericolose. Assai pericolose perché il rischio è che a difenderle debba essere il tuo corpo, il tuo sangue, la tua stessa carne. È successo a moltissimi scrittori, a moltissimi giornalisti. L'Italia ha una caratteristica che in genere, quando raccontano di noi, non viene riportata: l'Italia è un Paese cattivo. Molto cattivo. Perché è un Paese dove è difficile realizzarsi, dove il diritto sembra un privilegio.
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