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La soglia dei due anni...

alessiobio

Giardinauta
Ciao a tutti/e,
ho voluto creare questo post per avere la possibilità di condividere con voi un pensiero che mi passa per la testa da un po' di tempo. In effetti il titolo che ho voluto dargli è abbastanza evocativo, anche se va spiegato.

Ormai mi sono avvicinato al mondo dei bonsai da qualche anno e credo di poter affermare che i nostri beneamati riescano a essere fuori pericolo solo dopo aver superato quella che ho chiamato "la soglia dei due anni". In altre parole, penso che sia molto più facile che una pianta ci muoia (soprattutto se presa da vivaio) entro un anno e mezzo o due al massimo, piuttosto che nel tempo successivo. Specularmente, le piante che possediamo da oltre due anni sono anche quelle con una maggior capacità di sopravvivenza.
Evidentemente non è una legge matematica quella che sto annunciando e sono sicuro che mi si possono dare un'infinità di controesempi. La mia è una semplice costatazione del tutto personale, diciamo pure statistica.
Entro la soglia dei due anni in effetti quello che accade è molto semplice: troviamo una pianta che ci piace e decidiamo di iniziare a coltivarla per renderla un bonsai; travasi, potature (drastiche soprattutto), concimazioni, ubicazioni più o meno soleggiate, ecc.. In sintesi al termine di questi primi due anni, la pianta avrà subito una vera trasformazione, la quale pero'non esclude choc ed errori da parte nostra. Non si conosce ancora bene l'essenza né le sue esigenze biologiche più profonde, e si procede cosi' un po' (bisogna pur ammetterlo) per tentativi. Certo un forum come questo aiuta enormemente principianti e anche, più raramente i più esperti ad evitare errori colturali e ridurre cosi' il margine di rischio che si corre nel trattare le nostre piante.
Allo scadere dei due anni, quasi una sorta di incantesimo malvagio, le piante per le quali non siamo stati in grado di accorgerci per tempo delle loro sofferenze, ci faranno capire di queste nostre mancanze molto brutalmente e senza possibilità d'appello: tout simplement, muoiono. Si potrebbe dire che soffrano di un elevato tasso di mortalità infantile.
Esistono delle fasi dell'anno rinomate per la loro criticità colturale: in primavera il risveglio dall'inverno con gelate tardive, acari e microclima tendenzialmente umido, in estate le temperature torride, in autunno ancora una volta l'umidità, i primi freddi e le giornate assolate tardive, e in inverno infine le temperature glaciali. Chi non ha mai avuto problemi con queste difficoltà cicliche.
Cio' che sostengo è che le piante che possediamo da oltre due anni, avranno una capacità maggiore nell'adattarsi e nell'affrontare simili avversità. Che si tratti di malattie fungine o dell'attacco di parassiti, credo che queste essenze siano più forti e più capaci di superare tali momenti critici. E' improbabile che arrivino a morire, al più ci fanno capire il loro malessere con un ingiallimento o una perdita parziale dell'apparato fogliare, con un avvizzimento dei frutti ecc.. Questo perché (sempre a mio semplice avviso) queste essenze hanno raggiunto la loro forma adulta, riuscendo cosi' a sviluppare al meglio tanto il loro apparato radicale che quello fogliare; sono in uno stato di equilibrio biologico sano e di conseguenza meno vulnerabili.
La soglia dei due anni diviene cosi' anche (se non soprattutto) per noi un banco di prova, un momento della verità in cui capire se abbiamo agito da un punto di vista colturale in modo appropriato o no. In molto casi, nella maggior parte dei casi secondo me, la situazione a cui ci si confronta è la seconda e le nostre piante ci abbandonano dopo aver esaurito quello che considero una sorta di carica, di energia, che in modo più o meno "salubre" gli era stata trasmessa nei vivai. Concimazioni errate, travasi fuori stagione, terricci inappropriati, potature inopportune e tante altre nostre manipolazioni sulle piante che abbiamo deciso di coltivare porteranno ad un'inesorabile e fatale perdita di tale risorsa energetica sino ad un totale spegnimento delle funzioni vitali.
Vorrei anche che fosse chiaro un concetto implicito in quello che dico: quando parlo di "soglia dei due anni" non mi riferisco all'età relativa della pianta; in altri termini quanto sostengo è valido tanto per una pianta di svariate decine di anni (anche bonsai) che per una giovanissima essenza da vivaio. Il conto alla rovescia del limite biennale scatta al momento in cui la acquistiamo.
Chiamerei quindi questo primo periodo, un periodo di adattamento vegetale, proprio perché è la pianta a doversi abituare a noi, purtroppo, e non viceversa (situazione che ne causa nella maggior parte dei casi la morte). Superati pero' i due anni, si puo' presumere che segua un altro periodo di adattamento, ma questa volta umano; siccome si comincia a "capire" meglio la nostra pianta, a conoscerla nella sua natura, si cerca di fare di tutto per adattarsi alle sue esigenze.
In sintesi penso che quando si vedono quei bonsai di svariate decine di anni, con le loro sembianze da albero secolare, con le loro ramificazioni perfette e i loro colori incantevoli, ma soprattutto nel loro splendido stato di salute, si sia in presenza di un equilibrio perfetto tra la pianta e l'essere umano, tra il bonsai e il bonsaista. Una sorta di simbiosi perfetta che si è instaurata nel corso del tempo, senza che mai parola fosse proferita. A partire dai due anni, è allora come se iniziassero a parlarci in una lingua segreta, fatta di colori e materia viva, e al contempo noi iniziamo ad ascoltare tale lingua, a capirla.



Si, lo so, tutto quello che ho scritto appartiene più all'ordine del filosofeggiamento teorico intorno all'universo bonsai che ad un reale aspetto pratico e tecnico della faccenda, quindi vi chiedo innanzi tutto scusa per la lungaggine. Spero di non avervi annoiato troppo e vi invito a condividere con me tutto quello che pensate su quanto ho scritto.

Grazie della pazienza
 

patrizia

Maestro Giardinauta
Concordo su questo argomento e non solo, lo estendo anche ad altre piante, quasi tutte direi.
In effetti passati i due anni sembra di aver superato quel periodo di rodaggio in cui non si sa ancora bene se si è capaci o no di far vivere quella pianta.
Teoricamente basterebbe un anno, alla fine del quale si può ben dire di aver visto tutte le stagioni.
Se si sbaglia irrigazione, esposizione o concimazione in una delle stagioni si nota subito il deperimento, a cui si può quasi sempre porre rimedio.
Ad esempio ho provato nel 2011 con una lithops, sapevo di non doverla bagnare perché la maggior parte dei decessi avviene per marciume da eccessiva irrigazione, allora non l'ho mai bagnata per un mese, ma all'arrivo delle giornate soleggiate, verso la fine di aprile l'ho messa fuori.
"Le foglie hanno la forma dei sassi, quindi dovrà stare al sole e al caldo, in un torrido deserto" mi sono detta, così l'ho cotta subito.

Un anno solo però non basta, per escludere colpi di ... fortuna, bisogna passare anche l'esame del secondo anno, per essere sicuri che non sia stata un caso la sopravvivenza al primo ciclo di problemi stagionali, e aggiungerei anche il fiore e il frutto, sempre che non si tratti di piante particolarmente restie a queste donazioni.

Fierissima di aver raggiunto brillantemente questi traguardi del secondo anno, ho abbassato la guardia, lasciando scendere la tensione e trattando con troppa disinvoltura esemplari ancora impegnativi, in questo modo ho perso al terzo anno la mia carmona, ma anche un paio di orchi, un chinotto, un mirto, ecc....

Così, per quanto riguarda me stessa, dovrei aggiungere un anno alla soglia limite :rolleyes:
 

aurex

Esperto di Bonsai
In sintesi penso che quando si vedono quei bonsai di svariate decine di anni, con le loro sembianze da albero secolare, con le loro ramificazioni perfette e i loro colori incantevoli, ma soprattutto nel loro splendido stato di salute, si sia in presenza di un equilibrio perfetto tra la pianta e l'essere umano, tra il bonsai e il bonsaista. Una sorta di simbiosi perfetta che si è instaurata nel corso del tempo, senza che mai parola fosse proferita.

Ciao Alessio...io penso che più che di simbiosi si possa parlare sicuramente di una grande passione per la natura vegetale nonchè per questo hobby....e ancora ...grandi capacità dal punto di vista culturale della conoscenza vera e propria della pianta e del mondo vegetale in genere.
una cosa che reputo imprtante...oltre la capicità e la conoscenza nel campo della coltivazione...è il fatto di coltivare essenze sempre autoctone...questo secondo me facilita la vita delle nostre piante e le aiuta a superare la soglia di svariati anni.
è difficile pensare di coltivare per svariati anni una sagerethia quando abiti a Benevento o a Milano...così come è più complicato per me coltivare un acero rispetto ad uno che sta al nord....un saluto:Saluto:
 

Greenray

Esperto di Bonsai
Trovo interessante questa discussione e concordo sostanzialmente con quanto scrive Alessiobio.
Trovo anche molto opportuno l'aver aperto una discussione per "filosofeggiare" perché secondo me il forum deve servire anche a questo, senza obbligare nessuno a fare lo stesso.
Tuttavia, il bonsai con la "B" maiuscola, quello orientale è anche una filosofia, una filosofia che non ci appartiene e che sarebbe inutile imitare. Potremmo vestire come gli orientali, mangiare come loro, ma mai pensare come loro, ne sono convinto. Quindi inutile cercare di adottare la loro filosofia, rassegnamoci a tenere la nostra che per giunta non è poi così male, nonostante magari non sia la più adatta per gestire le nostre piante.

Il forum aiuta tutti in tutto.
Aiuta a coltivare le piante, a sceglierle, a ...riaversi dopo aver già scelto un ginseng, a correggere la gran parte dei nostri errori, a raggiungere e dopo anni a superare la fatidica soglia dei "due anni".
C'è che si applica con dedizione e ci riesce in fretta, altri che invece impiegano di più e nel frattempo "perdono" piante su cui speravano e con esse la speranza di conservare le altre ed iniziano a temere di dover abbandonare la loro passione per non fare una strage.

Il forum ci auita anche a rischiare di più, fiduciosi del supporto che esso costituisce.
Sentendoci parte di una comunità (virtuale) confidiamo in successi anche se faticosi e ci "impegoliamo" in tutto ciò in cui ci capita di imbatterci oppure anche in qualcosa che andiamo a cercarci, alle volte senza chiederci con serietà se la scelta che stiamo per compiere ha un senso.

Personalmente credo di non avere le condizioni ambientali adeguate alle piante che ho voluto trascinare nella mia piccola avventura e di non avere nemmeno la serietà per una selezione più severa delle piante che presentano buone probabilità di riuscita.
Però ho sempre escluso piante esotiche, a parte la primissima pianta in assoluto, un retusa, campato esattamente due anni.
In pratica temo che siano loro stesse a selezionarsi, sacrificandosi.
Sempre in pratica, temo di essere fra chi i "due anni" li considera già un successo, e superarli un miraggio una meta.

Mi sento colpevole di studiare troppo poco e di non cercare un confronto diretto (non virtuale) con qualcuno esperto, o di frequentare un corso, come invece fanno i più volenterosi di me.
 

alessiobio

Giardinauta
Sono d'accordo con tutti voi, soprattutto in merito alle condizioni ambientali in cui costringiamo le nostre piante. Abitare al sud, al centro o al nord Italia, non è esattamente la stessa cosa; se vi trovate ancora più a nord, come nel mio caso, il fattore clima implica conseguenze ulteriormente diverse. E poi ci sono gli spazi, chi ne ha di più chi di meno; chi puo' offrire un giardino alle proprie piante e chi un davanzale di finestra; chi puo' scegliere praticamente le 4 esposizioni solari e chi puo' offrire solo un minuscolo spazio ombreggiato. Anche questo implica inevitabilmente potenziali sofferenze alle piante che possediamo, non per mancanza di interesse o passione questa volta, ma semplicemente per mancanza reale di "varianti" ambientali. E allora si sta li', tentando di arrabattarsi come meglio si puo'; s'improvvisano serre di fortuna, teli parasole, materiali pacciamanti impensabili, e protesi da balcone improbabili per arrivare li' dove in realtà non si potrebbe...

Quindi, si certo, concordo pienamente con Green sul fatto di sentirmi assolutamente colpevole di non studiare abbastanza e di non essere direttamente in contatto con qualche maestro per farmi seguirmi più dal vivo e soprattutto per correggere i miei innumerevoli errori (non si finirà mai di imparare :rolleyes:); pero' è anche vero che spesso mi sento frustrato dal semplice fatto di appurare ad esempio l'esistenza di una banale modalità colturale più adatta ad una data specie ma avere altresi la consapevolezza di non poterla praticare a causa di una mancanza di spazi. A volte basterebbe realmente spostare una pianta di un paio di metri per farla stare bene e diventa una vera e propria scommessa, una sorta di tetris dovere sconvolgere il posizionamento di tutte le piante che si posseggono per poterne ricollocare soltanto una.
Nonostante cio', sono contento di continuare cocciutamente a coltivare le mie piante seppur in minuscoli spazi vitali, nella convinzione di voler fare di tutto per farle stare bene e sperando di farle superare quei famosi due anni... :eek:k07:
 

francobet

Moderatore Sez. Bonsai
Membro dello Staff
ho capito cosa intendi.
forse quel fatidico " 2anni" è un insieme di cose....
ad esempio: primo le pianta che si acquistano all'inizio, sono spesso delle ciofeche ( non le piante in se intendiamoci bene ), tenute male, a basso prezzo, ecc...
poi il bonsaista che, raccogliendo nozioni a destra e a manca fa un minestrone di informazioni , scegliendo, guarda un pò sempre le più...semplici, e quelle che gli costano meno, come poi per le patologie, che si da sempre per scontato la più comoda che "assolve" il malcapitato da errori, cosa che invece, ne è sempre la causa.
poi anche un eccesso di protettività, per quelle meraviglie così piccoline, indifese ( ricordo il mio primo olmo acquistato da bakker lo tenevo in casa......)....

passati i primi 2 anni, la maggioranza abbandona, dicendo che " SONO COSI' DELICATI...." chi continua invece si affina, capisce la verità, acquisisce nozioni di botanica, impara la calma, l'attesa, il rispetto dei ritmi biologici e finalmente, la vera arte!!!!!!!
che, a mio parere, non ritengo sia quella giapponese, ma semplicemente l'interpretazione personale di vedere il bonsai, nel rispetto TOTALE del vegetale.
poi, se si cresce, allora si può anche affinare sempre più le tecniche..
 

alessiobio

Giardinauta
Beh, si caro Franco hai centrato il bersaglio. Sono senza dubbio una serie di cose che entrano in gioco durante questi famosi due anni. Ed è assolutamente vero che il "materiale" di partenza è spesso già compromesso all'acquisto e va addirittura curato per cercare di farlo riprendere. Cosa questa che trovo quantomeno anomala; voglio dire, quando si fa un acquisto non si dovrebbe incorrere in piante malate o drogate di concime che ci muoiono fra le mani un mese dopo. E' un po' quello che considero come il coté rivoltante del mondo bonsai, il quale, facendo parte di un "mercato" purtroppo deve sottostare anche lui a dalle regole di "produttività" e di "vendita ad ogni costo", principi questi che non tengono minimamente conto del fatto che ad essere commercializzati sono comunque degli esseri viventi...
E poi certo, quel famoso "sono cosi delicati" a morte avvenuta, non è altro che un modo per lavarsi un po' la coscienza. Ma giustamente, come anche tu hai detto, ad essere interessante è la meraviglia che aspetta chi ha la pazienza e l'interesse di applicarsi per andare al di la dei due anni, è da quel momento che inizia qualcosa di bello.
Sul fatto che la vera arte non sia quella giapponese infine, non saprei. Sicuramente il Giappone è stata la terra d'origine dell'arte bonsai, pero' ormai non credo che la si possa ancora legare ad una nazione ben precisa. E' un concetto, una filosofia, un modus vivendi direi che non ha veramente più confini, purché si tenga sempre bene a mente un concetto fondamentale: rispetto per le piante di cui decidiamo di assumerci la responsabilità.
 

francobet

Moderatore Sez. Bonsai
Membro dello Staff
sull'arte io intendevo questo: i giapponesi, anzi, i cinesi l'hanno inventata, poi, per la filosofia che hanno imposto dal regime comunista, non è stata divulgata.
i giapponesi l' hanno "rubata" e diffusa anche nel mondo, iniziando dal vecchio continente; i primi bonsai mostrati pubblicamente risalgono agli inizi del 900 a Parigi ad una esposizione.
Dal "furto" in poi, ne hanno fatto una cultura, uno stile di vita, come poi per i vasai, che si sono tramandati di padre in figlio le botteghe dove venivano prodotti ( da qui i sigilli posti sotto al vaso a distinguere, appunto, le varie famiglie ), e quindi affinato il lavoro di finitura, a volte maniacale.
poi i maestri, visti come "divi " in patria, alcuni addirittura ricevuti dall'Imperatore.
poi anche per loro ora le tradizioni sono state un pò......sopraffatte dal denaro, che amano tutti!!!!

poi del morbo del bonsai, è stato contagiato pian piano il mondo, ma ognuno interpretandolo, giustamente, a modo proprio, affinandolo alla propria cultura e modo di vivere.

chi secondo te, nel mondo, non giapponese, coltiva un pino nero da seme per farlo godere ai figli o nipoti???
vogliamo tutto e subito, lo noti anche sui forum in generale.
non si riesce più ad aspettare, rispettare, capire
nessuno........
 

massimo1952

Esperto in bonsai
Quello che dici è molto vero Franco, vera la storia per la quale mi sono documentato, vere le considerazioni vero anche che si vuiole tutto e subito ma.... un inizio ci deve essere. Molti di noi non possono godere di un nonno e di un padre bonsaisti e quindi di piante vecchie tramandate da generazione in generazione arricchite da nuovi arrivi da tramandare alle generazioni future. Molti di noi parallelamente vogliono si fare nuove esperienze partendo da seme o da talee ma anche avere il piacere di affiancare piante più adulte da continuare a coltivare e a curare. Da qui il mercato della pianta più matura già pre formata già pre impostata. Certo stiamo parlando degli appassionati e non di coloro che comprano una pianta per il solo gusto di avere un soprammobile in ufficio.... lo dico io che sono partito così ma che con rapidità mi sono appassionato all'argomento e ora non metterei più un "ficus" sulla scrivania in ufficio :) anche se so che esteticamente farebbe una gran figura ma che vi morirebbe inesorabilmente.
 
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francobet

Moderatore Sez. Bonsai
Membro dello Staff
quello che intendevo dire Massimo, è che noi abbiamo una cultura diversa, un modo do vedere il bonsai totalmente nostro, improntato sul nostro stile di vita.

come poi certe cose lo sono al contrario per loro, vedi il Made in Italy, che noi quasi...snobbiamo, mentre loro ne sono affascinati.
ovvio che ora ci sono più possibilità di avere un bonsai già in stato avanzato, però quella voglia di avere tutto e subito la "senti" sempre....
leggi qualche post in questa sezione, presenti anche ora, per capire a cosa mi riferisco.
 

patrizia

Maestro Giardinauta
...
Tuttavia, il bonsai con la "B" maiuscola, quello orientale è anche una filosofia, una filosofia che non ci appartiene e che sarebbe inutile imitare. Potremmo vestire come gli orientali, mangiare come loro, ma mai pensare come loro, ne sono convinto. Quindi inutile cercare di adottare la loro filosofia, rassegnamoci a tenere la nostra che per giunta non è poi così male, nonostante magari non sia la più adatta per gestire le nostre piante.
...

Ecco, qui sta il cuore del problema bonsaistico.
Come ho osservato prima, il discorso è adattabile a quasi tutte le piante, ma nel caso dei bonsai bisogna scontrarsi, durante i famosi due anni, anche con l'etica, la filosofia e la cultura che hanno prodotto quest'arte.
Anche se tale filosofia non ci appartiene possiamo studiarla e cercare di capirla, per certi aspetti anche imitarla, per fortuna esistono tante filosofie diverse a questo mondo, per poterne fare scambio!
E a volte il processo di studio e comprensione potrebbe anche portarci a cercare una sorta si empatia, per cui potremmo anche provare a vestirci e mangiare come gli orientali e ciò potrebbe avvicinarci maggiormente, anche senza arrivare a pensare come loro completamente.
Insomma, ci studiamo fra popoli diversi, nelle nostre piccole o grandi cose e magari ci imitiamo un po', così si esorcizzano le differenze, anche se volenti o nolenti, questo vuol dire anche attenuarle.

Infatti Alessio ci presenta il suo problema, che in fondo è anche il mio, quello dello spazio: come coltivare piante grandi in uno spazio ristretto?
Potrebbe essere il problema del futuro, acuito dal sovraffollamento delle città.
Et voilà, i cinesi e i giapponesi lo hanno già risolato da millenni, basta prendere esempio.
La risoluzione "occidentale", sarà anche arrivata tardi, ma non basta, le tecniche e le tecnologie le possediamo anche noi, ma potrebbero non essere sufficienti a risolavere il problema futuro del sovraffollamento, quando comincerà ad investire sempre di più i nostri spazi (e non solo i nostri terrazzi:rolleyes:), la risoluzione "orientale", proprio perché legata anche ad una filosofia, potrebbe dare risultati migliori, e se questo dovesse comportare una sorta di orientalizzazione dell'Occidente, be'... :rolleyes: anche l'Oriente è stato occidentalizzato, le muraglie non sono servite.
 

francobet

Moderatore Sez. Bonsai
Membro dello Staff
a proposito, ho partecipato work shop con istruttori UBI alcuni vestiti con kimono bandane o altro in stile giapponese...

una tristezza infinita....per non dire pagliacciata.
il volersi inserire nello stile giapponese pure nel vestirsi in determinati modi in certe occasioni solo per fare...cinema, è imbarazzante.....
 

alessiobio

Giardinauta
Ragazzi/e, è un mondo che va avanti a forza di finzioni e apparenze, la sostanza vera delle cose, il loro nocciolo non importa più a nessuno. O a pochi. Per cui la storia dei chimono, ahimè, non mi stupisce affatto.
Sul volere "tutto e subito", caro Franco non sai quanto vorrei stringerti la mano per dimostrarti a che punto condivida questa (triste) sensazione. Si corre, si corre e si corre ancora, perdendo il filo col reale, dimenticando persino il motivo della corsa. Mai forse i tempi sono stati più maturi essere rappresentati alla perfezione in una nota canzone dei Queen, seppur di qualche anno fa: I want it all (and I want it now)...
Sai spessissimo, soprattutto in quest'ultimo periodo ho riflettuto lungamente su queto tram tram e a quest'imperativo del "tutto e subito" e la risposta a cui sono arrivato ha sorpreso anche me: vorrei paradossalmente non avere tutta questa scelta. Penso particolarmente ad un esempio, probabilmente un po banale, ma che rende bene l'idea; quando si va al supermercato e soprattutto nei grandi ipermercati, siamo strabiliati nel vedere tutta quella scelta, tutto quelle varietà di frutta e verdura, dalle più popolari alle più sofisticate, dalle più esotiche alle più banali, svariate forme e colori magnifici di per se, eppur banalizzate nel nostro vivere quotidiano, per la loro perenne disponibilità. Ecco, io prima appartenevo a queste persone che si emozionavano positivamente nel vedere un simile spettacolo; da un po di tempo a questa parte invece, forse sto invecchiando o sono più pessimista, il fatto è che in breve non vorrei tutta quella scelta. Vorrei entrare in un supermercato a dicembre e non trovare fragole o albicocche; vorrei tornarci in estate e non vedere arance; al posto di questi articoli mi piacerebbe trovarci su un piccolo cartello che dica: "prodotto non disponibile in questa stagione"; ecco credo che forse dovremmo imparare ad gustarci privazioni di questo tipo, perché ci farebbero maggiormente apprezzare il rapporto che intratteniamo con le cose e soprattutto con il tempo. I nostri nonni vivevano anche di queste piccole aspettative e forse non era proprio una condizione sbagliata.

Ecco ci risiamo, scusate dello sproloquio...
 
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patrizia

Maestro Giardinauta
una tristezza infinita....per non dire pagliacciata.
il volersi inserire nello stile giapponese pure nel vestirsi in determinati modi in certe occasioni solo per fare...cinema, è imbarazzante.....
Non essere troppo severo, forse c'è qualcosa di sincero in fondo...
Sia chiaro, sono d'accordo, se è solo per fare cinema è... imbarazzante.
Ma se in occidente nessuno avesse mai provato la meditazione per timore di atteggiarsi in maniera ridicola allora non avrebbe nemmeno potuto trarre giovamento da quella pratica che invece, a quanto pare, è in grado di contrastare certi effetti collaterali della modernità, e lo stesso vale anche per altre pratiche importate da luoghi esotici o alieni.
Si potrebbe obiettare che non è necessario vestirsi da monaco buddista per praticare la meditazione o lo yoga, e invece a quanto sembra oltre ad un certo limite, per affinarsi davvero bisogna anche incominciare ad agire sulla propria esteriorità, modificando il modo di respirare, di mangiare e chissà, infine anche di vestire?
Ovviamente non so se tutti quelli che lo fanno ci sono arrivati "onestamente"...
 
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