Nei giorni scorsi, leggendo il topic della mia Dekina, "L'orologio fisico" mi è venuta in mente una storia, non una risposta, ma appunto una breve storiella...se avete piacere, l'inizio è qui sotto
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Un anno fa circa, in questo periodo, mi trovavo a trascorrere una decina di giorni nel reparto di neurologia di un ospedale milanese.
La mia vicina di letto (camera a due) dal secondo giorno di degenza, una donna di 85 anni, sofferente da quasi un ventennio di Alzheimer. Trovatasi lì per una caduta nel salotto di casa, non aveva particolari problemi, se non una leggera commozione cerebrale e un pò di lividi,ma la complicanza della sua malattia, e l'età, ne avevano reso necessario il ricovero.
Il suo stato di torpore del giorno, veniva sostituito da un'agitazione continua, con la ripetizione ossessiva di gesti convulsi al primo calar delle tenebre, ma non solo, da continui viaggi a ritroso nei ricordi, frammenti di vita che emergevano, come pezzi di un puzzle scomposto, impossibile, credevo, da riunire.
Poi una notte tutto cambiò, e la storia della signora Rosetta, si fece interessante...
segue
(E' prevista nella tua scatola, vero Dino, una storia a puntate?
)
( Ecchime
)
...
La signora Rosetta, vedova da quasi mezzo secolo, aveva un'unica figlia.
Una donna minuta e graziosa, dall'aspetto giovanile, mostrava circa una sessantina d’anni.
Ogni giorno veniva a fare visita alla madre accudendola con l’esperienza di chi era abituata a farlo da tempo, e parlava con lei, abituata, anche questo da tempo, a non ricevere alcun segno di risposta se non qualche breve frase sconnessa.
Muovendosi con destrezza intorno al letto dell'inferma, e dopo i convenevoli della giornata, capitava che si rivolgesse anche a me, soprattutto verso il quarto o il quinto giorno di ricovero, chiedendomi se la madre era stata particolarmente agitata durante la notte.
Quel mattino, arrivò prima del solito, faceva molto freddo lo scorso inverno, era ben coperta, mentre si liberava di guanti, sciarpa e cappello, e ancor prima di aver rivolto un saluto alla madre, mi chiese com’era andata quella notte.
Non più di due ore di sonno, ecco com’era andata.
“L’ha raccontata...vero?” mi chiese, sedendosi ai piedi del letto della madre, che dormiva tranquilla.
Un cenno del capo fu la mia risposta affermativa, nient’altro, avendo in quei giorni qualche difficoltà di comunicazione.
A quel punto, toccava a lei ricostruire la vicenda dall’inizio. Lo fece.
Le parole della figlia erano le stesse che avevo ascoltato poche ore prima dalla madre.
In quella notte, appena trascorsa, non c’erano stati i consueti atteggiamenti parossistici nella Rosetta, ma una gran calma. Impegnata a seguire la traccia dei ricordi. Solo a tratti interrotti da punte d’angoscia.
Il viso e gli occhi si erano risvegliati, a dire il vero, il suo sguardo, un poco m’intimoriva.
Fui tentata di suonare il campanello, ma poi incuriosita, scesi con lei in cantina...
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...L’inverno, particolarmente rigido, era uno degli ultimi degli anni quaranta.
Un mattino, la Rosetta, con la bambina in braccio scese nella cantina del palazzo dove abitavano, a Milano. Lo stesso edificio, aveva subito alcuni danni a causa dei bombardamenti della guerra da poco conclusa.
Tra questi, le porte di ferro delle minuscole cantine, divelte, con la conseguenza che, chiusa la porta, anzichè accostata, conseguiva impresa ardua riaprirla per uscire.
La Rosetta, per sbaglio chiuse la porta dietro di se.
Inutili furono i tentativi di aprirla, urlò, imprecò, (eccome se lo fece, in puro dialetto milanese), ma nessuno accorse in aiuto.
.La piccola pianse a lungo, la madre la consolava, la ninnava, per farla dormire le cantava la filastrocca del Giuanin Pipeta... “Cum el se stima e porta la majustrina che l’è minga sua...”
Niente.
Dovette passare tutta la giornata, la nottata, e parte del giorno seguente, prima che il marito, partito il giorno precedente per una visita ai genitori, al fine, le ritrovasse. La bimba in un angolo, avvolta nello scialle di lana, la madre seduta accanto alla porta, le mani sporche di sangue, a causa dei ripetuti tentativi di attirare l’attenzione, battendo fortemente i pugni contro...ogni cosa presente nel minuscolo locale.
Questa brutta avventura, la figlia non la seppe dalla madre, in salute, nè dal padre morto quando era ancora molto piccola.
Cominciò a viverla con la Rosetta, solo dopo qualche anno che il morbo degenerativo dell’Alzheimer l’aveva completamente risucchiata.
Ogni anno, puntualmente,all’approssimarsi dell’anniversario del fatto, la Rosetta riviveva quella vicenda che tanto l’aveva sconvolta.
Per qualche breve momento, l’era restituita la lucidità di pensiero, la chiarezza espositiva, e, vi garantisco, uno spiccato senso dell’ironia.
The end.