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teresatita
Guest
eccolo qua, questo è Giovanni Allevi, un musicista che sta riscuotendo un grandissimo successo sia in Italia che oltreoceano. Un giovane brillante, laureato con lode in filosofia, con lode in pianoforte e con lode in composizione. Ha avuto due sold out in uno dei teatri più prestigiosi di New York. Mercoledi prossimo avrò la fortuna di ascoltarlo live in concerto ad teatro Carlo Gesualdo di Avellino. Stasera si è visto a Sanremo, suonava il pianoforte accompagnando il brano di Nicki Nicolai. Un bel ragazzo alto, con la testa piena d riccioli e delle mani lunghissime ed un sorriso tenero e imbarazzante.
Vi propongo, oltre ad una sua foto, scattata da una mia amica al concerto del 25 febbraio a Modena, uno stralcio d'intervista ed una recensione veramente simpatiche. Ciao ciao
....tutto è iniziato tanti anni fa nel mio primo concerto lontano da casa, a Napoli. Quella sera vennero a sentirmi cinque persone. Nella piccola sala da concerto c'era una finestra aperta che dava su una piazza, e alla fine delle mie esecuzioni, sentivo un applauso provenire da un gruppo di persone che si erano radunate in strada sotto la finestra; un entusiasmo spontaneo, un regalo inaspettato … ho avuto la sensazione che qualcosa di importante stava accadendo e ho capito che quella era la mia strada
-al contrario di molti artisti che programmano le loro scelte e la loro musica, nel tuo caso è la musica a costringerti a fare quello che vuole lei?
Si, nel mio caso è la musica che guida il gioco, non le logiche di mercato, a costo di non essere compreso. Ma sento che la gente è con me! A Milano ne ho visti più di mille fare la fila per me sotto la neve in mezzo al gelo. Ho pensato "adesso vado là e li bacio tutti!!!", e subito dopo ho capito che potevo farlo … col pianoforte!
-È vera la storia che per andare a suonare al Blue Note ti sei presentato personalmente al proprietario chiedendogli di ascoltarti suonare e aspettandolo per giorni?
L'ho aspettato solo due giorni. C'è voluto un gran coraggio, per me soprattutto che sono timidissimo e non parlo neanche tanto bene l'inglese. Ma il sogno che poteva realizzarsi era davvero grande. Era un sogno anche stare lì ad aspettarlo su quella sedia, mentre alcune ragazze pulivano i tavoli e bisbigliavano tra loro "ma chi è quello??". Ora lo sanno: sono "Giovàani Alevei", come dicono lì!
-Che tipo di esperienza è stata suonare in un locale così prestigioso?
Sono stato con gli occhi chiusi per un'ora e mezza, curvo sui tasti, sentivo solo il suono, il cuore ed il respiro. Quando ho finito ho alzato lo sguardo e stava succedendo il finimondo
-C'è qualche pianista che tieni sempre come maestro?
È Frèdèric Chopin. Nella sua musica c'è un equilibrio perfetto tra sentimento e razionalità, tra follia e conservatorismo.
-Com'è il tuo rapporto con il pianoforte?
Reverenza assoluta. Per me è un essere vivente. Durante i miei concerti ci parlo: "Stai bene?" oppure "mi riconosci? Hai visto che bravo?". È vivo
Per questo per me suonare è un gesto mistico, misterioso" commenta Giovanni Allevi, il giovane pianista ascolano (36 anni compiuti ad aprile) che col suo strumento è abituato a vivere in simbiosi 24 ore su 24. Il suo nuovo album, il terzo di una carriera discografica iniziata nel 1997 grazie all’interessamento di Jovanotti e del suo bassista Saturnino, esce nei negozi domani, 20 maggio, con un titolo programmatico: "No concept". "Ho sudato 20 anni a studiare musica", racconta Giovanni, che è diplomato in pianoforte e in composizione rispettivamente presso i conservatori Morlacchi di Perugia e Verdi di Milano. "Ai tempi dell’accademia ho vissuto un periodo che potrei definire concettuale. Per dieci anni mi hanno insegnato a scrivere musica usando formule matematiche, serie dodecafoniche, tecniche e nient’altro che tecniche aride. A un certo punto ho iniziato a percepire la musica concettuale come un qualcosa che mi strangolava, che soffocava la mia creatività e la mia forza espressiva, un non senso estrapolato dal contesto storico e culturale della sua epoca. E' facile scrivere musica con la calcolatrice, nascondersi dietro tecniche e regole. Le istituzioni, l’accademia ti premiano se sei conforme, non se sei originale. "No concept" significa fuggire a gambe levate da tutto questo: il risultato è questo Cd, completamente votato all'emozione, all'asimmetria, al disordine”.
Eppure un tema comune c’è, nelle tredici canzoni del disco: l’amore nelle sue diverse sfaccettature. Dietro il "no concept" si nasconde un "concept"… “In un certo senso è così. La decisione di dedicare il Cd al tema dell'amore ha preceduto la composizione: per la prima volta volevo parlare agli uomini, alla loro sfera più intima fatta di emozioni e di sensazioni. Qui non affronto il tema dell’amore universale e teologico di cui tanto si parla oggi, esploro gli impulsi umani, slanci e paure ma anche ossessioni. Da appassionato di Hegel (Allevi è anche laureato in filosofia) so che non posso negare la concettualità: l'importante è che nel percorso si percepisca un movimento, una volontà di cambiamento. A me, la filosofia ha dato la forza intellettuale di liberarmi dall'accademismo: per questo considero "No concept" quasi come il mio vero debutto. "Tredici dita", il primo album, l'avevo dedicato al virtuosismo, ispirandomi a Franz Liszt. Il secondo, "Composizioni" era impostato sulla ricerca armonica, ma dentro c'era ancora un Giovanni ripiegato su se stesso, che si arrovella, che cerca senza darsi pace. Stavolta sento una musica molto più diretta, stagliata, limpida: è la fotografia di un momento bello della mia vita. Comunicare è importante, bisogna cercare di avvicinarsi al sentire comune. Il mio sogno è scrivere musica che possa superare la contemporaneità ed essere ancora interessante, magari, tra vent'anni. Ma musicalmente sono uno che si concede poco. I miei modelli sono i grandi del passato, Chopin e Bach: loro non facevano nulla per avvicinare l'ascoltatore alla musica, è sempre successo il contrario".
Per liberarsi del fardello accademico, Allevi se n'è andato per un certo tempo a vivere a New York, nel cuore del quartiere afroamericano e ispanico di Harlem. Eppure nella musica di "No concept" quel mondo non è facile da individuare: "Probabilmente perché la mia non è musica descrittiva, anche se nel brano "Notte ad Harlem" c’è una punta di quel gospel in cui è inevitabile imbattersi quando si passeggia per le strade della città. Il periodo che ho vissuto lì mi è servito per allontanarmi anche mentalmente dall’Europa. A New York ho avuto la sensazione di una vita che si svolge nelle strade, non solo nei palazzi del potere, e il contatto ravvicinato con la gente comune mi ha dato calore umano. L'album l'ho concepito lì sapendo che c'era il palco del Blue Note che mi aspettava (per due concerti sold out tenuti il 6 marzo scorso): per questo ho voluto metterci dentro la passionalità italiana, la profondità europea. Avevo telefonato personalmente al proprietario del club, Steven Bensusan, per chiedergli un’audizione. Mi ha ricevuto alla sua scrivania col cappello in testa e mi ha indicato il pianoforte dicendomi senza tanti preamboli di fargli sentire che cosa sapevo fare. Al di là dell’emozione, del sold out, della gente che si congratulava e mi trasmetteva la sua emozione in lingue che non capivo, dei bigliettini e dei fiori recapitati in camerino, a me rimane il ricordo intimo di un momento di grande poesia. In studio è difficile conservare la stessa energia: abbiamo vissuto quattro giorni intensi di registrazione, 11 ore filate alla volta, ogni brano è stato eseguito sei o sette volte e abbiamo sempre scelto le versioni più immediate. L’importante non è eseguire tutte le note alla perfezione ma avere un'intenzione travolgente. Nei giorni precedenti all’ingresso in studio l'ho coltivata suonando poco, leggendo romanzi e poesie, andando in giro per strada a osservare le persone. Ho vissuto il disco come un'occasione che si ha una sola volta nella vita: avevo a disposizione un pianoforte straordinario, il Bösendorfer Imperial, e persone meravigliose intorno che mi hanno coccolato". E Jovanotti, e Saturnino, sono scomparsi definitivamente dai suoi orizzonti? "Sì, non ho più contatti. Gli sono molto grato perché sono stati loro a buttarmi nella piscina costringendomi a nuotare. Ma a un certo punto il diavoletto che è in me mi ha detto che non volevo vivere di luce riflessa e mi ha spinto a muovermi da solo. Come dice un detto orientale: se vuoi stare al sicuro resta in spiaggia, ma in fondo all’oceano ci sono gioielli da raccogliere. Ho scommesso su me stesso e quello che mi sta succedendo in questi giorni è una ricompensa che non avrei immaginato". Grazie all'appoggio di una major, al disco di Allevi si aprono prospettive di mercato anche internazionali. Forse il successo all’estero di Ludovico Einaudi ha aperto una strada, e Giovanni è pronto a riconoscerlo: "Lui è partito prima di me su un percorso simile. Ma non siamo diversi solo per motivi anagrafici, mi sembra che la sua musica abbia forti connotazioni nord europee. Lui è più algido di me, predilige le tonalità grigie, mentre la mia cifra stilistica in questo disco è molto più mediterranea. il 13 luglio terrò un concerto sul Colle dell’Infinito di Recanati. Leopardi resta il mio ideale poetico: stretto dall'accademia e dagli studi ma proprio per questo capace di esprimere una poesia che scavalca i secoli".
Vi propongo, oltre ad una sua foto, scattata da una mia amica al concerto del 25 febbraio a Modena, uno stralcio d'intervista ed una recensione veramente simpatiche. Ciao ciao
....tutto è iniziato tanti anni fa nel mio primo concerto lontano da casa, a Napoli. Quella sera vennero a sentirmi cinque persone. Nella piccola sala da concerto c'era una finestra aperta che dava su una piazza, e alla fine delle mie esecuzioni, sentivo un applauso provenire da un gruppo di persone che si erano radunate in strada sotto la finestra; un entusiasmo spontaneo, un regalo inaspettato … ho avuto la sensazione che qualcosa di importante stava accadendo e ho capito che quella era la mia strada
-al contrario di molti artisti che programmano le loro scelte e la loro musica, nel tuo caso è la musica a costringerti a fare quello che vuole lei?
Si, nel mio caso è la musica che guida il gioco, non le logiche di mercato, a costo di non essere compreso. Ma sento che la gente è con me! A Milano ne ho visti più di mille fare la fila per me sotto la neve in mezzo al gelo. Ho pensato "adesso vado là e li bacio tutti!!!", e subito dopo ho capito che potevo farlo … col pianoforte!
-È vera la storia che per andare a suonare al Blue Note ti sei presentato personalmente al proprietario chiedendogli di ascoltarti suonare e aspettandolo per giorni?
L'ho aspettato solo due giorni. C'è voluto un gran coraggio, per me soprattutto che sono timidissimo e non parlo neanche tanto bene l'inglese. Ma il sogno che poteva realizzarsi era davvero grande. Era un sogno anche stare lì ad aspettarlo su quella sedia, mentre alcune ragazze pulivano i tavoli e bisbigliavano tra loro "ma chi è quello??". Ora lo sanno: sono "Giovàani Alevei", come dicono lì!
-Che tipo di esperienza è stata suonare in un locale così prestigioso?
Sono stato con gli occhi chiusi per un'ora e mezza, curvo sui tasti, sentivo solo il suono, il cuore ed il respiro. Quando ho finito ho alzato lo sguardo e stava succedendo il finimondo
-C'è qualche pianista che tieni sempre come maestro?
È Frèdèric Chopin. Nella sua musica c'è un equilibrio perfetto tra sentimento e razionalità, tra follia e conservatorismo.
-Com'è il tuo rapporto con il pianoforte?
Reverenza assoluta. Per me è un essere vivente. Durante i miei concerti ci parlo: "Stai bene?" oppure "mi riconosci? Hai visto che bravo?". È vivo
Per questo per me suonare è un gesto mistico, misterioso" commenta Giovanni Allevi, il giovane pianista ascolano (36 anni compiuti ad aprile) che col suo strumento è abituato a vivere in simbiosi 24 ore su 24. Il suo nuovo album, il terzo di una carriera discografica iniziata nel 1997 grazie all’interessamento di Jovanotti e del suo bassista Saturnino, esce nei negozi domani, 20 maggio, con un titolo programmatico: "No concept". "Ho sudato 20 anni a studiare musica", racconta Giovanni, che è diplomato in pianoforte e in composizione rispettivamente presso i conservatori Morlacchi di Perugia e Verdi di Milano. "Ai tempi dell’accademia ho vissuto un periodo che potrei definire concettuale. Per dieci anni mi hanno insegnato a scrivere musica usando formule matematiche, serie dodecafoniche, tecniche e nient’altro che tecniche aride. A un certo punto ho iniziato a percepire la musica concettuale come un qualcosa che mi strangolava, che soffocava la mia creatività e la mia forza espressiva, un non senso estrapolato dal contesto storico e culturale della sua epoca. E' facile scrivere musica con la calcolatrice, nascondersi dietro tecniche e regole. Le istituzioni, l’accademia ti premiano se sei conforme, non se sei originale. "No concept" significa fuggire a gambe levate da tutto questo: il risultato è questo Cd, completamente votato all'emozione, all'asimmetria, al disordine”.
Eppure un tema comune c’è, nelle tredici canzoni del disco: l’amore nelle sue diverse sfaccettature. Dietro il "no concept" si nasconde un "concept"… “In un certo senso è così. La decisione di dedicare il Cd al tema dell'amore ha preceduto la composizione: per la prima volta volevo parlare agli uomini, alla loro sfera più intima fatta di emozioni e di sensazioni. Qui non affronto il tema dell’amore universale e teologico di cui tanto si parla oggi, esploro gli impulsi umani, slanci e paure ma anche ossessioni. Da appassionato di Hegel (Allevi è anche laureato in filosofia) so che non posso negare la concettualità: l'importante è che nel percorso si percepisca un movimento, una volontà di cambiamento. A me, la filosofia ha dato la forza intellettuale di liberarmi dall'accademismo: per questo considero "No concept" quasi come il mio vero debutto. "Tredici dita", il primo album, l'avevo dedicato al virtuosismo, ispirandomi a Franz Liszt. Il secondo, "Composizioni" era impostato sulla ricerca armonica, ma dentro c'era ancora un Giovanni ripiegato su se stesso, che si arrovella, che cerca senza darsi pace. Stavolta sento una musica molto più diretta, stagliata, limpida: è la fotografia di un momento bello della mia vita. Comunicare è importante, bisogna cercare di avvicinarsi al sentire comune. Il mio sogno è scrivere musica che possa superare la contemporaneità ed essere ancora interessante, magari, tra vent'anni. Ma musicalmente sono uno che si concede poco. I miei modelli sono i grandi del passato, Chopin e Bach: loro non facevano nulla per avvicinare l'ascoltatore alla musica, è sempre successo il contrario".
Per liberarsi del fardello accademico, Allevi se n'è andato per un certo tempo a vivere a New York, nel cuore del quartiere afroamericano e ispanico di Harlem. Eppure nella musica di "No concept" quel mondo non è facile da individuare: "Probabilmente perché la mia non è musica descrittiva, anche se nel brano "Notte ad Harlem" c’è una punta di quel gospel in cui è inevitabile imbattersi quando si passeggia per le strade della città. Il periodo che ho vissuto lì mi è servito per allontanarmi anche mentalmente dall’Europa. A New York ho avuto la sensazione di una vita che si svolge nelle strade, non solo nei palazzi del potere, e il contatto ravvicinato con la gente comune mi ha dato calore umano. L'album l'ho concepito lì sapendo che c'era il palco del Blue Note che mi aspettava (per due concerti sold out tenuti il 6 marzo scorso): per questo ho voluto metterci dentro la passionalità italiana, la profondità europea. Avevo telefonato personalmente al proprietario del club, Steven Bensusan, per chiedergli un’audizione. Mi ha ricevuto alla sua scrivania col cappello in testa e mi ha indicato il pianoforte dicendomi senza tanti preamboli di fargli sentire che cosa sapevo fare. Al di là dell’emozione, del sold out, della gente che si congratulava e mi trasmetteva la sua emozione in lingue che non capivo, dei bigliettini e dei fiori recapitati in camerino, a me rimane il ricordo intimo di un momento di grande poesia. In studio è difficile conservare la stessa energia: abbiamo vissuto quattro giorni intensi di registrazione, 11 ore filate alla volta, ogni brano è stato eseguito sei o sette volte e abbiamo sempre scelto le versioni più immediate. L’importante non è eseguire tutte le note alla perfezione ma avere un'intenzione travolgente. Nei giorni precedenti all’ingresso in studio l'ho coltivata suonando poco, leggendo romanzi e poesie, andando in giro per strada a osservare le persone. Ho vissuto il disco come un'occasione che si ha una sola volta nella vita: avevo a disposizione un pianoforte straordinario, il Bösendorfer Imperial, e persone meravigliose intorno che mi hanno coccolato". E Jovanotti, e Saturnino, sono scomparsi definitivamente dai suoi orizzonti? "Sì, non ho più contatti. Gli sono molto grato perché sono stati loro a buttarmi nella piscina costringendomi a nuotare. Ma a un certo punto il diavoletto che è in me mi ha detto che non volevo vivere di luce riflessa e mi ha spinto a muovermi da solo. Come dice un detto orientale: se vuoi stare al sicuro resta in spiaggia, ma in fondo all’oceano ci sono gioielli da raccogliere. Ho scommesso su me stesso e quello che mi sta succedendo in questi giorni è una ricompensa che non avrei immaginato". Grazie all'appoggio di una major, al disco di Allevi si aprono prospettive di mercato anche internazionali. Forse il successo all’estero di Ludovico Einaudi ha aperto una strada, e Giovanni è pronto a riconoscerlo: "Lui è partito prima di me su un percorso simile. Ma non siamo diversi solo per motivi anagrafici, mi sembra che la sua musica abbia forti connotazioni nord europee. Lui è più algido di me, predilige le tonalità grigie, mentre la mia cifra stilistica in questo disco è molto più mediterranea. il 13 luglio terrò un concerto sul Colle dell’Infinito di Recanati. Leopardi resta il mio ideale poetico: stretto dall'accademia e dagli studi ma proprio per questo capace di esprimere una poesia che scavalca i secoli".
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