RosaeViola
Master Florello
Nel topic aperto da cerchina "Geranium o altro" era scaturita una discussione in merito alla classificazione delle specie vegetali.
Per maggiore chiarezza, ho rispolverato un po' di nozioni che avevo da parte e poi ho parlato con una amica botanica che mi ha fornito un bellissimo e prezioso documento che, con il suo avvallo, vorrei condividere con voi.
"Prima di tutto c’è da dire che il linguaggio botanico scientifico e quello orticolo vivaistico sono un po’ diversi.
Inoltre il termine “varietà” è fuorviante, perché, oltre ad essere usato comunemente al posto del più corretto “cultivar”, ha anche un significato generico, in italiano, di “forma diversa dalle altre”, ed è quindi usato molto spesso in contesti non scientifici.
In botanica le varietà vere e proprie, cioè quelle naturali e scientificamente descritte, non portano virgolette, e sono precedute da var. (qualcuno usa v. ma non è corretto). E poi sono SEMPRE individuate da UNA SOLA parola in latino, scritta possibilmente in corsivo e con l’iniziale minuscola, non troverai mai una varietà si chiama Richard Gray (al massimo, se qualcuno ha voluto intitolarla al tizio in questione, troverai var. grayensis).
Viceversa, nella nomenclatura ufficiale delle piante coltivate non si può MAI usare, per definire una cultivar, un nome latino, proprio per non generare confusioni.
I nomi scientifici sono SEMPRE in latino, e ogni epiteto (genere, specie, varietà) è definito da UNA SOLA parola (perfino le forme col trattino, tipo Solidago virga-aurea, non sono troppo ben viste in nomenclatura, anche se vengono accettate in sostituzione di un doppio epiteto che non sarebbe corretto).
Varietà, sottospecie e forme sono entità infraspecifiche (=descritte all’interno di una specie) che si usano quando vengono individuati dei gruppi di piante (delle popolazioni) che presentano certe caratteristiche simili fra loro che le differenziano dalla specie “tipica” così come è descritta nei testi botanici accettati. Se queste caratteristiche sono ritenute MOLTO significative, anziché definire una varietà o una sottospecie si può addirittura definire una specie diversa.
Già qui si vede come il concetto di “specie” sia un po’ vago, perché tutto dipende da come si valutano le caratteristiche in questione. Per esempio la roverella una volta era considerata una varietà della farnia e quindi si chiamava Quercus robur var. lanuginosa. Poi è stata “promossa” al rango di specie diversa diventando Quercus lanuginosa (e poi Quercus pubescens che è il suo nome scientifico attuale).
Tutto dipende da come si valutano i caratteri; ci dovrebbe essere ANCHE una seria analisi genetica che però pochi fanno.
Se il concetto di specie è nebuoloso, figuriamoci quello di varietà o sottospecie.
Proprio per questi motivi, attualmente l’unica entità infraspecifica considerata valida in botanica èla sottospecie (non si dovrebbe più usare, nella definizione di nuove entità naturali, o nella ridefinizione delle vecchie, il termine “varietà”; io continuerò a usarlo per non complicare troppo le cose).
Insomma, i passaggi sono (o dovrebbero essere) questi:
-c’è una specie riconosciuta, definita con certe caratteristiche;
-si trova una popolazione (cioè un insieme omogeneo di individui) di questa specie che ha alcune caratteristiche differenti;
-se queste caratteristiche sono ritenute significative, e se sono geneticamente trasmissibili (per esempio se si conservano anche se le stesse piante vengono fatte crescere in un ambiente diverso) si definisce una nuova entità infraspecifica. Se le differenze con la specie di partenza sono ritenute MOLTO significative si definisce una nuova specie.
Le caratteristiche della popolazione “anomala” possono derivare da semplici mutazioni genetiche, oppure essere il risultato di ibridazione, cioè del “matrimonio” fra la specie di partenza e un’altra specie o fra due varietà, ecc...
Anche una varietà naturale può essere un ibrido, in quanto deriva dall’incrocio fra due varietà differenti della stessa specie o anche di specie diverse.
Le regole di nomenclatura botanica dicono che un ibrido fra due entità dello stesso rango (cioèfra specie e specie, fra varietà e varietà, ecc...) assume il rango dei due genitori, mentre se l’ibrido è fra due entità di rango diverso (es. specie e varietà) assume il rango più basso fra i due. Quindi una varietà può essere anche un ibrido, se è insorta per l’incrocio di altre due varietà o di una varietà con un’altra specie.
Comunque la presenza di ibridazione va sempre indicata con un x (oppure col prefisso “notho-“, ma questo si usa abbastanza raramente).
L’ibridazione non è in sé una categoria sistematica, è piuttosto uno dei modi (naturali o artificiali) in cui possono crearsi varietà o specie o generi “nuovi”: due piante appartenenti a due diverse categorie sistematiche (varietà, genere o specie) si incrociano e nasce un “figlio” che ha caratteristiche diverse da entrambi i genitori e quindi viene messo in una categoria a parte (posto che sia in grado di riprodursi e mantenere e trasmettere le sue caratteristiche). Questo figlio èl’ibrido.
Per quanto riguarda gli animali (almeno quelli superiori) il discorso è molto più semplice, perché l patrimonio genetico degli animali è meno “elastico” di quello delle piante.
Quindi molto raramente avviene che due specie diverse di animali possano incrociarsi dando origine a nuovi individui, e quando ciò avviene questi individui sono sterili perché al momento della formazione delle cellule sessuali i cromosomi di origine paterna e quelli di origine materna non si “riconoscono” e quindi questa formazione non può avvenire. E’ quello che succede per i muli, ad esempio. Infatti uno dei criteri con cui si può definire una specie in zoologia è quello che gli individui appartenenti a quella specie sono interfecondi e danno origine a prole che è a sua volta feconda.
Cavallo e asino sono considerati due specie diverse perché i muli e i bardotti sono sterili.
Muli e bardotti non sono nuove specie, perché non possono riprodursi.
Per la piante non è assolutamente così. Non solo molte specie si incrociano fra loro dando origine alle combinazioni più svariate (questo succede, ad esempio, nel genere Quercus), ma gli ibridi sono allegramente fertili...e se non lo sono, possono diventarlo raddoppiando i cromosomi col meccanismo della poliploidia...e comunque chi se ne frega, tanto esistono mille modi per riprodursi vegetativamente (cioè non sessualmente)!
Perfino piante appartenenti a generi diversi possono incrociarsi fra loro.
Quindi definire la “specie” in botanica è molto più arduo. E’ difficile anche definire l’”individuo”...se io abbatto un tiglio e successivamente dalle radici spuntano dei polloni, questi sono individui diversi o lo stesso individuo? Mah?
E gli ibridi non sono esseri sterili che restano lì e non hanno importanza in natura (perché non possono riprodursi); si riproducono, trasmettono le loro caratteristiche ai discendenti e si possono considerare nuove specie o varietà.
...segue
Per maggiore chiarezza, ho rispolverato un po' di nozioni che avevo da parte e poi ho parlato con una amica botanica che mi ha fornito un bellissimo e prezioso documento che, con il suo avvallo, vorrei condividere con voi.
"Prima di tutto c’è da dire che il linguaggio botanico scientifico e quello orticolo vivaistico sono un po’ diversi.
Inoltre il termine “varietà” è fuorviante, perché, oltre ad essere usato comunemente al posto del più corretto “cultivar”, ha anche un significato generico, in italiano, di “forma diversa dalle altre”, ed è quindi usato molto spesso in contesti non scientifici.
In botanica le varietà vere e proprie, cioè quelle naturali e scientificamente descritte, non portano virgolette, e sono precedute da var. (qualcuno usa v. ma non è corretto). E poi sono SEMPRE individuate da UNA SOLA parola in latino, scritta possibilmente in corsivo e con l’iniziale minuscola, non troverai mai una varietà si chiama Richard Gray (al massimo, se qualcuno ha voluto intitolarla al tizio in questione, troverai var. grayensis).
Viceversa, nella nomenclatura ufficiale delle piante coltivate non si può MAI usare, per definire una cultivar, un nome latino, proprio per non generare confusioni.
I nomi scientifici sono SEMPRE in latino, e ogni epiteto (genere, specie, varietà) è definito da UNA SOLA parola (perfino le forme col trattino, tipo Solidago virga-aurea, non sono troppo ben viste in nomenclatura, anche se vengono accettate in sostituzione di un doppio epiteto che non sarebbe corretto).
Varietà, sottospecie e forme sono entità infraspecifiche (=descritte all’interno di una specie) che si usano quando vengono individuati dei gruppi di piante (delle popolazioni) che presentano certe caratteristiche simili fra loro che le differenziano dalla specie “tipica” così come è descritta nei testi botanici accettati. Se queste caratteristiche sono ritenute MOLTO significative, anziché definire una varietà o una sottospecie si può addirittura definire una specie diversa.
Già qui si vede come il concetto di “specie” sia un po’ vago, perché tutto dipende da come si valutano le caratteristiche in questione. Per esempio la roverella una volta era considerata una varietà della farnia e quindi si chiamava Quercus robur var. lanuginosa. Poi è stata “promossa” al rango di specie diversa diventando Quercus lanuginosa (e poi Quercus pubescens che è il suo nome scientifico attuale).
Tutto dipende da come si valutano i caratteri; ci dovrebbe essere ANCHE una seria analisi genetica che però pochi fanno.
Se il concetto di specie è nebuoloso, figuriamoci quello di varietà o sottospecie.
Proprio per questi motivi, attualmente l’unica entità infraspecifica considerata valida in botanica èla sottospecie (non si dovrebbe più usare, nella definizione di nuove entità naturali, o nella ridefinizione delle vecchie, il termine “varietà”; io continuerò a usarlo per non complicare troppo le cose).
Insomma, i passaggi sono (o dovrebbero essere) questi:
-c’è una specie riconosciuta, definita con certe caratteristiche;
-si trova una popolazione (cioè un insieme omogeneo di individui) di questa specie che ha alcune caratteristiche differenti;
-se queste caratteristiche sono ritenute significative, e se sono geneticamente trasmissibili (per esempio se si conservano anche se le stesse piante vengono fatte crescere in un ambiente diverso) si definisce una nuova entità infraspecifica. Se le differenze con la specie di partenza sono ritenute MOLTO significative si definisce una nuova specie.
Le caratteristiche della popolazione “anomala” possono derivare da semplici mutazioni genetiche, oppure essere il risultato di ibridazione, cioè del “matrimonio” fra la specie di partenza e un’altra specie o fra due varietà, ecc...
Anche una varietà naturale può essere un ibrido, in quanto deriva dall’incrocio fra due varietà differenti della stessa specie o anche di specie diverse.
Le regole di nomenclatura botanica dicono che un ibrido fra due entità dello stesso rango (cioèfra specie e specie, fra varietà e varietà, ecc...) assume il rango dei due genitori, mentre se l’ibrido è fra due entità di rango diverso (es. specie e varietà) assume il rango più basso fra i due. Quindi una varietà può essere anche un ibrido, se è insorta per l’incrocio di altre due varietà o di una varietà con un’altra specie.
Comunque la presenza di ibridazione va sempre indicata con un x (oppure col prefisso “notho-“, ma questo si usa abbastanza raramente).
L’ibridazione non è in sé una categoria sistematica, è piuttosto uno dei modi (naturali o artificiali) in cui possono crearsi varietà o specie o generi “nuovi”: due piante appartenenti a due diverse categorie sistematiche (varietà, genere o specie) si incrociano e nasce un “figlio” che ha caratteristiche diverse da entrambi i genitori e quindi viene messo in una categoria a parte (posto che sia in grado di riprodursi e mantenere e trasmettere le sue caratteristiche). Questo figlio èl’ibrido.
Per quanto riguarda gli animali (almeno quelli superiori) il discorso è molto più semplice, perché l patrimonio genetico degli animali è meno “elastico” di quello delle piante.
Quindi molto raramente avviene che due specie diverse di animali possano incrociarsi dando origine a nuovi individui, e quando ciò avviene questi individui sono sterili perché al momento della formazione delle cellule sessuali i cromosomi di origine paterna e quelli di origine materna non si “riconoscono” e quindi questa formazione non può avvenire. E’ quello che succede per i muli, ad esempio. Infatti uno dei criteri con cui si può definire una specie in zoologia è quello che gli individui appartenenti a quella specie sono interfecondi e danno origine a prole che è a sua volta feconda.
Cavallo e asino sono considerati due specie diverse perché i muli e i bardotti sono sterili.
Muli e bardotti non sono nuove specie, perché non possono riprodursi.
Per la piante non è assolutamente così. Non solo molte specie si incrociano fra loro dando origine alle combinazioni più svariate (questo succede, ad esempio, nel genere Quercus), ma gli ibridi sono allegramente fertili...e se non lo sono, possono diventarlo raddoppiando i cromosomi col meccanismo della poliploidia...e comunque chi se ne frega, tanto esistono mille modi per riprodursi vegetativamente (cioè non sessualmente)!
Perfino piante appartenenti a generi diversi possono incrociarsi fra loro.
Quindi definire la “specie” in botanica è molto più arduo. E’ difficile anche definire l’”individuo”...se io abbatto un tiglio e successivamente dalle radici spuntano dei polloni, questi sono individui diversi o lo stesso individuo? Mah?
E gli ibridi non sono esseri sterili che restano lì e non hanno importanza in natura (perché non possono riprodursi); si riproducono, trasmettono le loro caratteristiche ai discendenti e si possono considerare nuove specie o varietà.
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