Ciao a tutti!
Ho fatto ancora la giurata per un concorso del forum libri.
raccontini brevi, tema comune: Autunno, 7 partecipanti...tranquilli
vi posto
solo il racconto vincitore che poi e' anche il mio preferito
se avete voglia di leggerlo, eccolo qua
Lo Stormo
Cascina era un paesello nella vallata del fiume Sverio: 800 anime, un bar, una scuola elementare, un emporio. Case strette, addossate l’una all’altra in un dedalo di viuzze medievali su cui vegliava un umile campanile. I turisti diretti ad Assisi o a Gubbio lo attraversavano quasi senza accorgersene, con gli occhi fissi sulla cartina stradale. Ma Cascina non era un piccolo borgo come tanti altri, perché quando l’estate cedeva il passo all’autunno, quando il cielo si faceva alto e cristallino dopo le fatiche del caldo di agosto, esattamente nella prima settimana di ottobre, accadeva qualcosa di straordinario. In quella settimana, ogni abitante di Cascina scrutava il cielo per ore in cerca di ombre fugaci, con gli orecchi tesi a cogliere il più piccolo fruscio. Perché quella settimana lì, ogni anno da che memoria d’uomo potesse ricordare, passava lo Stormo. Si narra che un solo abitante all’anno riuscisse a scorgerlo, quando in un battito d’ali appariva dal nulla e spariva nel nulla, come una visione fatata dal potere consolatorio. Allora il fortunato prescelto avrebbe visto esaudire il suo desiderio più segreto. Non importava esprimerlo, né pensarlo, né preoccuparsi di sceglierlo fra i mille desideri che dimorano in un cuore: lo Stormo sapeva.
Era apparso al piccolo Giacomo, in una girandola di grandi ali colorate, pochi giorni prima che i suoi gli regalassero la tanto agognata bicicletta. Era apparso ad Anna, una famiglia di bianche e sottili cicogne, e ad agosto era nata la piccola Chiara. Era apparso al vecchio Tonio, portando nel becco rametti di fiori sconosciuti, e proprio quell’ anno il fico del suo giardino, che non aveva mai dato un frutto in vita sua, si era riempito di dolcissimi fichi tardivi. Tutto il paese aveva fatto festa attorno all’albero miracolato, molti chiedendosi come poteva Tonio avere un desiderio tanto piccolo e umile. E nemmeno lui lo sapeva, ma andava bene così, perché lo Stormo sapeva tutto, e Tonio era solo contento che gli fosse apparso proprio quell’anno che la sua povera moglie l’aveva lasciato.
Gli abitanti di Cascina avevano ormai rinunciato a spiegarsi l’origine dello Stormo. L’anziano Don Silvano, che aveva visto lo Stormo una volta da giovane, era convinto che le miti colombe su quell’albero spoglio fossero le stesse che ai tempi della Porziuncola avevano ascoltato le prediche di San Francesco, ma questa era una spiegazione buona come tante altre. L’unica certezza era che lo Stormo appariva sempre quando il prescelto era da solo, e quindi nella prima settimana di ottobre gli abitanti si salutavano frettolosi, evitavano di fare i consueti capannelli davanti al bar o alla chiesa, cercavano di starsene per conto loro, passando in rassegna i propri desideri.
Lo Stormo appariva anche a chi non ci credeva, come era successo all’antipatica proprietaria dell’emporio un giorno in cui il sole indebolito non riusciva a mandar via la nebbia mattutina.
Le strade erano completamente deserte quando Vanessa era uscita per sistemare le ceste della frutta: melagrane rosse vermiglie, diosperi arancioni, uva verde dorato. C’erano tutti i colori dell’autunno in quelle ceste. Poi un fruscio, un alto grido roco e lei, uno dei pochi abitanti che non teneva gli occhi al cielo in quella settimana, quasi senza volerlo aveva alzato il capo e l’aveva visto: cento, duecento sagome di uccelli neri e sgraziati che passavano gracchiando sopra di lei. Era rimasta a guardarli come ipnotizzata, con la cesta delle castagne fra le mani, sentendo che si portavano via tanta tristezza senza senso, tante recriminazioni contro non si sa chi, lasciando nel suo cuore soltanto pace e serenità. Quando infine lo Stormo era scomparso, la tosse che la tormentava da mesi se n’era andata con lui. Allora Vanessa aveva fatto una grande festa, come era usanza, perché chi vedeva lo Stormo festeggiava e veniva festeggiato da tutti.
Ma a chi sarebbe apparso quell’anno?
E quando? In un tramonto carico di nostalgia per l’estate e preoccupazione per l’inverno, come era successo ad Elisabetta? O nel mezzo di un giorno che l’estate sembrava ricordarla per il calore forte del sole, come era accaduto a Filippo? Di lunedì, di giovedì? In quale giorno?
Ma quell’anno la prima settimana d’ottobre si era spenta con una domenica piovigginosa senza che nessun abitante avesse visto lo Stormo. Il lunedì la gente si incrociava incredula, parlottando a bassa voce, come se una disgrazia si fosse abbattuta su tutto il paese. Le male lingue insinuavano che chi lo aveva visto non volesse rivelarlo, ma sembrava impossibile che qualcuno potesse tenere per sé una tale esperienza. Tutti si chiedevano come avrebbero fatto a sopportare per un anno intero il dubbio angoscioso che lo Stormo li avesse abbandonati per sempre.
Nessuno si era reso conto che il venerdì di quella settimana la piccola Elena aveva mosso i suoi primi passi, con una soddisfazione tutta sua, che aveva espresso con i suoi “lala, pappa, babba” davanti ai genitori che l’ascoltavano estasiati, senza riuscire a descrivere gli uccellini rosa e celesti che l’avevano circondata in quel momento, il fatidico momento del suo primo passo, quando la mamma era sul retro della casa a stendere i panni.
E lo Stormo fu il suo primo ricordo.