E qualche anno dopo facendo la revisione di un testo scritto da un collega di lavoro mi sono imbattuto nel termine revenienze. Giovane e inesperto ho chiesto a un collega le spiegazioni che non avevo trovato sul Treccani. "Paolo, ma tu sai cos'è una revenienza?". "Certo, le revenienze sono le conseguenze di un atto o di un fatto su un soggetto diverso dall'attore. Ma, attenzione, le conseguenze possono essere solo negative, non si hanno revenienze se le conseguenze sono favorevoli al soggetto passivo. E poi il sostantivo è difettivo, ha solo il plurale, non esiste "la revenienza!". "Paolo, ma che stai dicendo? In italiano non esiste il termine revenienza, né revenienze". Poi abbiamo ricostruito la genesi di quel neologismo non ufficiale: quel termine era stato usato chissà quando da qualche capo supremo che infruttuosamente voleva trovate un sinonimo di conseguenze (sostantivo troppo plebeo) in un messaggio ufficiale e nessuno dei sottoposti aveva avuto il coraggio di dirgli che quel termine così ricercato non esisteva nella lingua italiana. In breve le revenienze sono entrate nel linguaggio comune dell'azienda, tanto da costruirgli intorno un'intera singolarità grammaticale (sostantivo difettivo, conseguenze solo negative). Devo dire che da quando ho fatto notare che le revenienze erano clandestini della lingua italiana hanno cominciato ad usarle meno assiduamente. Ma non voglio prendere meriti che non ho. L'uso dell'inglese stava già diventando un must per un linguaggio smart, e outcomes avrebbe comunque messo in soffitta le revenienze.