il mio amico del cuore era gay. ed era il fulcro della compagnia, per intelligenza, verve, umanità, azz non riesco a trovargli definizioni negative. ho passato anni e anni a frequentare solo gay, standoci benissimo. sono rimasta senza preclusioni di sorta, anche se lui non c'è più e ne frequento molti meno. ho vissuto le loro lacrime, le loro rabbie per la discriminazione, i loro amori dolci, quelli violenti, quelli mal riposti, e anche le loro carnevalate esagerate. dove il linguaggio da caserma sarebbe sembrato da educande al confronto. mi riconosco parecchio in quel che ha scritto finn. a volte si cela più fastidio, disprezzo, mancanza di rispetto in una parola politicamente corretta che non in una parolaccia. un po' forse bisogna conoscere chi la/le pronuncia per capire il vero senso di cosa ci sta dietro, a volte basta solo un po' di sensibilità. ma è così in tutti gli ambiti. posso fare un piccolo esempio, e che nulla ha a che vedere con l'omosessualità? lavoravo in un ufficio a enorme prevalenza maschile, volavano qatsi, in tutte le accezioni nazionali/locali/dialettali sempre come se piovesse. e tutti erano incuranti delle rare presenze femminili - che comunque per vivere spesso viaggiavano col coltello tra i denti e la parolaccia pronta a fior di labbra, senza particolare fastidio -. un giorno un collega pronunciò la suddetta parola incriminata, in un'accezione forse persino riportata dai dizionari; dovetti correre in bagno a vomitare per come mi aveva fatto schifo, per quanto l'avevo trovato insopportabilmente laido. era stato il modo, certo. cerco di badare a quello per capire la persona che sta parlando. va da sé che qui, a video e basta, può essere difficile destreggiarsi. almeno qualche volta