tratto dalla pagina personale di "stop the war" su FB
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200 mila insegnanti «inutili» e sullo scivolo, mentre il governo trova 20 milioni per militarizzare i banchi. Il servizio civile sta sparendo e la solidarietà del volontariato sopravvive come può
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Il "min della dif" – che, dio mi perdoni, mi fa diventare lombrosiana, perché quando lo vedo non posso evitare di pensare che il connotato fascista sia genetico – si è inventato la mininaja, un piano di inserimento nelle strutture militari di quattromila ragazzi per brevi stages “formativi” nelle caserme. Per mantenere il progetto – bocciato in Parlamento come parte del decreto sulle “missioni” all’estero – il ministro ha reperito venti milioni di finanziamento inserendolo nella manovra finanziaria. Io sono antimilitarista, ma comprendo le lagnanze dei militari che sentono quei venti milioni sottratti alle loro esigenze. Inoltre, come ulteriore intervento democratico, ha tagliato il bilancio, già magro, della protezione civile.
Non tutti sanno che cinque anni fa, quando finì il servizio militare obbligatorio, i giovani che prestavano servizio civile erano 56.000, mentre oggi non arrivano alle dieci migliaia. L’indifferenza di fronte a questi dati è dovuta anche alla scarsa conoscenza diffusa circa ciò che rappresenta il volontariato che, come dice la parola, è proprio di chi sa che il bisogno sociale è illimitato e che le strutture sociali non lo esauriscono, mentre il Terzo settore e il No-profit (dietro cui spesso c’è il “profit”), sono sussidiarietà, cioè precariato sostitutivo di quei servizi che lo stato non è (più) in grado di dare. Sono distinzioni note almeno da quando mons. Giovanni Nervo dirigeva la Caritas italiana e prevedeva le conseguenze di questi equivoci. Infatti per il volontariato non ci sono più soldi, perché, non sostituendo l’intervento sociale ed educando alla responsabilità individuale di tutti nella gratuità, è scomodo.
Oggi diventa educativo non l’accompagnare i nonvedenti, far conoscere la conoscenza storica della nonviolenza, dare compagnia agli anziani soli o vitalizzare i loro centri sociali, ma “prepararsi, come dicono i documenti, alla vita” attraverso la competizione e i conflitti. Ci si è messa anche la Lombardia che, dopo aver visto lo scempio della scuola di Adro, fondata sugli emblemi di un partito politico, si trova i militari o gli ex-militari a far concorrenza ai maestri. Ragazzi, la naja non c’è più (e non c’è più nemmeno l’obiezione di coscienza, anche se il problema di cui stiamo parlando dovrebbe agitare almeno gli ex-obiettori) e la legge è legge: i soldati sono impiegati statali. Se quella militare è una professione come un’altra, vorremmo nelle scuole anche i medici, gli ingegneri o i muratori.
Se, invece, non è un mestiere come un altro, lasciamo gli insegnanti a insegnare che, allo stato attuale dell’evoluzione, la guerra, anche difensiva e anche preventiva (per l’amor di dio non “umanitaria”) può essere una dura necessità o un aiuto alla ricostruzione dopo disastri, ma non è assolutamente un valore più patriottico del civile. La patria la si serve con il rispetto delle regole di giustizia, dell’uguaglianza e della democrazia nonviolenta; che è quello che vorremo fosse il comune senso dello stato di noi italiani.