celeste ha scritto:
No, Ivana, no. Salvo casi eccezionalissimi il latte c'è. Certo se la bambina è piccola e tira poco, anche il latte è poco, ma se si insiste nel modo giusto in qualche settimana va tutto a posto.
Anche quando avevo le bambine piccole io, era pieno di mamme (me compresa) che dicevano "Ho poco latte", ma ora ho imparato tanto dalle mie figlie.
Il segreto è dimenticare orari e bilance e attaccare al seno la piccola continuamente.
Celeste, quella del latte è una battaglia senza fine.
Mi son chiesta per anni quale fosse il motivo per il quale un tempo tutte le donne avevano latte, mentre oggi la situazione è fortemente cambiata. Infatti, un tempo, erano mosche bianche quelle che non ne avevano.
Sono arrivata alla conclusione che i motivi sono diversi fra loro, ma tutti importanti e determinanti in questo.
Innanzitutto l'estrema medicalizzazione che è stata fatta sul parto con il conseguente allontanamento nelle prime ore e nei primi giorni di vita del bambino, quando sia dal punto di vista psicologico sia dal punto di vista della fisiologia, questo atteggiamento ha scatenato una serie di danni considerevoli nel rapporto madre-figlio e nell'allattamento.
Come ben dicevi tu, il segreto è appunto l'allattamento a richiesta, che però è impossibile in situazioni in cui il neonato non sta in camera con la madre. Queste realtà sono ancora troppe, purtroppo, ma non solo, si è riusciti a convincere le donne che il parto sia un momento altamente drammatico e faticoso (quando in realtà non è così se si va a vedere com'è la fisiologia della donna e quali sostanze entrino in gioco subito dopo il parto...è una legge naturale questa ed è stata mistificata e falsata a beneficio delle strutture ospedaliere e del controllo sociale del parto) e, quindi, si debba riposare. Il bambino alla fine, è un impedimento al riposo della madre.
Per anni si è ricorsi a sistemi che hanno disincentivato le donne ad allattare e questo a beneficio delle multinazionali del latte o dei pediatri che ricevevano dei congrui bonus dalle case che li producevano.
Poi, è stato fatto entrare nella testa delle donne, che il parto è un momento di malattia e non un evento assolutamente naturale, con tutte le dinamiche psicologiche e fisiche del caso.
A questo si è aggiunto un sostanziale cambiamento del costume sociale e spesso le donne si ritrovano con un carico di problemi pratici e psicologici legati al parto, da affrontarlo stressate emozionalmente e psicologicamente.
Non parliamo, della quantità di cesarei abnorme che si sono praticati e si praticano nel nostro paese che rendono difficile alla madre di tenersi vicino il bimbo e di attaccarlo il più possibile al seno.
Dopo una quarantina d'anni di questi eventi, con l'ingresso nel mondo del lavoro di una nuova generazione di ostetriche, c'è stato un cambiamento di rotta e, per fortuna, oggi si spingono le donne ad allattare il più possibile.
Però c'è un però.
Innanzitutto è difficile scardinare in pochi anni, una mentalità che è andata via via sempre più consolidandosi nella psiche delle future madri.
Il modo di partorire è da sempre un fatto culturale e prova ne è, che in qualunque paese, in qualunque continente le donne hanno diversi modi per partorire, quindi è davvero problematico riuscire a ritornare ad una cultura del parto il più naturale possibile, specie in un paese come il nostro che ha permesso che le donne perdessero il diritto di decidere per il parto, per l'allattamento e per il bambino.
Ma non solo è difficile, spesso si corre il rischio di estremizzare in senso opposto, questo problema.
Quando lavoravo in ospedale e anche dopo, vedevo che molte ostetriche
spingevano sì le donne ad avvicinarsi ad una concezione diversa del parto e dell'allattamento, ma talvolta, lo facevano (e lo fanno) sconfinando nell'imposizione inversa e cioè, criminalizzando psicologicamente la donna che non ha latte (e ci sono) oppure scatenando tutta una serie di sensi di colpa anche in questo senso.
Sappiamo tutte benissimo che una donna che ha appena partorito, è estremamente vulnerabile e che vive un senso smisurato di inadeguatezza nei confronti del primo figlio, del cui mondo conosce giusto quello che ha letto ma con cui ancora non ha stabilito la giusta relazione.
Io credo che in questo delicatissimo mondo, in questi fragilissimi equilibri iniziali, si debba sempre essere molto cauti, molto delicati e dare input che non siano dei diktat, ma semplicemente trasmettere con grande affetto e solidarietà, il sapere delle nostre madri e delle nostre nonne, come si farebbe nella migliore delle culture di una società al femminile.
Inutile brutalizzare una puerpera facendo dell'inutile terrorismo della serie: "Signora se non allatta non aiuterà suo figlio a crescere sano" oppure "Una madre che ama davvero suo figlio deve allattarlo"...Non immagini quante volte nelle corsie si sentano queste frasi!
Come pensano possa sentirsi, soprattutto una primipara, di fronte ad asserzioni di questo genere?
Una nuova madre ha bisogno di aiuto a comprendere, di serenità, di contenimento e di avere meno stress psicologici possibili, perchè come ben sappiamo, l'allattamento è MOLTO legato alle condizioni psicologiche e queste non sono teorie balzane, ma dati assoluti ormai.
Può succedere che, per motivi di ordine medico o fisico, la donna non abbia latte. Beh, ho visto davvero cose assurde con sforzi fisici e psicologici bestiali da parte delle puerpere pur di allattare.
Ma allora io mi chiedo: se allattare/nutrire il proprio figlio deve essere in primis comunicazione di affetto, amore, tenerezza perchè tutto funzioni, perchè il bimbo si attacchi tranquillo, perchè la relazione fra madre e figlio si inneschi in modo sereno ed equilibrato, che senso ha costringere una madre ad allattare con le ragadi e piangere disperata per il dolore? Che cosa comunicherà quella madre a quel suo bambino? Che cosa interiorizzerà quel neonato sentendo sua madre così?
Che senso ha spingere una puerpera a vivere un grande stress fisico magari dopo un bruttissimo parto, perchè allatti a qualunque costo?
Che senso ha aumentare il disagio di una donna che ha poco latte nel farla sentire incapace di alimentare suo figlio?
Questi sembraranno casi limite ma in realtà non lo sono.
Anche dai post che sono stati scritti in questo senso, emerge che la stragrande maggioranza di noi si è sentita inadeguata e preoccupata nella fase dell'allattamento.
A questo punto bisognerebbe chiedersi, prima di tutto, cosa significhi allattare, e cioè, quali siano le valenze psicologiche sul figlio, quali dati incamererà del suo rapporto con la madre, che idea si farà del mondo, perchè checchè se ne dica, il valore PRIMO dell'allattamento E' QUESTO e non semplicemente l'aspetto nutrizionale!
Fatta questa considerazione allora chiediamoci che beneficio trae il bambino di fronte ad una relazione carica di pathos e di ansia con la madre, perchè anche il miglior cibo (come il latte materno) può diventare veleno se non viene dato con la giusta serenità e senza sofferenza, nè fisica nè psichica.
Tutta questa filippica per dire che un tempo l'allattamento funzionava e funzionava bene, perchè anche le donne avevano una loro precisa identità e connotazione e tutto quello che gravitava intorno al parto, era vissuto come un evento assolutamente normale ed era rispettato anche dalla società.
Io credo che, soprattutto sapendo cosa significhi per un bambino ricevere cibo da sua madre, debbano sempre prevalere il buon senso, la delicatezza e il rispetto di questi equilibri che sono fondamentali per una crescita psicologico-affettiva armonica e serena di un individuo, anche a costo di rinunciare all'allattamento al seno, se questo comporta sofferenza e disagio per la madre e per il bambino stesso.