Quel che dirò è solo quel che penso, come sempre non ho la minima intenzione di insegnare alcunchè, ma solo di esprimere come la penso, anche se impopolare.
Il dolore è anche un maestro di vita se solo s'impara ad ascoltarlo.
Non sono certo immune dal dolore per questo, ma quantomeno non si ripresenta ciclicamente, lo stesso dolore, sulle stesse identiche situazioni, perchè forse non abbiamo imparato, o forse non abbiamo imparato a conoscere ed accettare la realtà.
Siam soli Ale, ci nasciamo soli, siamo addirittura già staccati da chi ci genera, chiusi nel nostro involucro protettivo e la realtà è che siamo addirittura corpo estranei per il corpo che ci ospita.
La relazione con gli altri e il mondo esterno è tale, una relazione, ove la condivisione può raggiungere livelli sorprendenti, ma non deve mai invadere, questa è una legge che non può essere infranta da nessuno.
Ce ne accorgiamo nei momenti più intimi, ce ne accorgiamo quando pur vivendo la stessa identica situazione, esperiamo e proviamo cose diverse, perchè siamo mondi a sè stanti, nell'universo fluttuanti con altri pianeti.
La frase 'ti capisco, ci sono passato/a anch'io' è vera e falsa nello stesso momento, nostro malgrado, perchè la stessa identica situazione è vissuta dal soggetto e dai soggetti, differenti come due galassie a sè stanti.
La relazione non è a due a due a due, ma sui multipli del tre, ovvero, io, con me stessa, con gli altri e loro a loro volta.
Qualcuno mi dice ancora che questi discorsi che faccio, sono una chiusura che ferisce me per prima e invece si stenta a capire un certo paradosso.
Quando per amore, ci si annulla e si permette al valore oggettivo (a prescindere da chi voglio dire) del male, cioè dell'antitesi della vita stessa, di raggiungerci e portare a segno la sua missione, stiamo servendo questo, non l'amore.
Quando ciò che sembra tale smette di esserlo và abbandonato con tutta la determinazione possibile, poichè non è più amore.
E l'amore muore, perchè ciò che non muore, non è nemmeno vivo, è plastica.
Supponendo che niente però muore e tutto si trasforma o quella trasformazione apporta ancora positività, nel senso di costruzione, di tutela o se genera conflitto, dolore da battaglia, và lasciato andare, chiudendo e proteggendo la vita.
Abbiamo la forza per sopravvivere al dolore, l'unica domanda è se lo vogliamo, o preferiamo sentirci in colpa o sentirci martiri piuttosto che essere duri, aver il coraggio di tagliare parti infette.
Ma un oceano di innocenti si aspetta di poter attingere a questa forza, a quell'amore, che abbiamo il dovere di proteggere, anche con la spada, che spesso è incona di giustizia, poichè ciò che taglia può ferire o sanare, come il bisturi chirurgico.
Abbiamo il dovere di vivere e non sopravvivere sapendo che a ruota, vestiremo nostro malgrado un ruolo, prima o poi.
Che si commettono errori, non già che si è dei falliti, perchè questa è la vera sconfitta, questa la vera fuga.
Non è il dolore il nemico, ma la valenza che sottintende e noi, abbiamo la resposnsabilità di riversare su questa terra, vibrazioni costruttive, il chè non significa non piangere, non significa non vivere il dolore, significa smetterla di aiutare chi altro non sà arrecare che danno, e tagliargli severamente la linfa, quando è evidente, o lasciare che la vita faccia il suo corso, se non abbiamo più potere alcuno.
E' dura, si diventa duri, ma è necessario tanto a Caino quanto ad Abele, altrimenti, secondo me, non c'è più alcuna differenza valida tra uno e l'altro.
Scusatemi, mi sono chiesta più volte se interveire o no,alla fine lo'ho ftto perchè credo di essere fra amici, achese comprendo sono discorsi che andrebbero fatti, conun tvolo dvanti e una tazza di te.