Nell’enciclopedia agraria italiana (del 1975) c’è una tabella riassuntiva del comportamento agronomico delle varietà di ulivo, in relazione alla resistenza al gelo, alla siccità, ai parassiti vegetali e animali, alla produttività e al contenuto in olio. Ebbene, il famoso Leccino ha una resistenza al gelo media. Le varietà con una notevole resistenza al freddo sono: Castiglionese, Coratina, Cornia, Leccese, Leccio del Corno, Morchiaio e Pignola. Quest’ultima si coltiva, assieme ad altre varietà (alcune delle quali con scarsa resistenza al freddo), in tutte le province liguri. C’è una pagina dove vengono indicate quali coltivazioni si fanno per ogni provincia. In Veneto, sui Colli Euganei e sui Monti Berici, si coltivano (si coltivavano nel ’75?) alcune varietà, per es. il Favarol.
In relazione a quanti pensano che sia un suicidio coltivare ulivi al Nord, o peggio estirparli dal Sud e trapiantarli colà, esprimo la mia ultramodesta opinione: in relazione al microclima di ogni singola zona, prese le dovute precauzioni (scelta della cultivar, vari sistemi antigelo prima che arrivi il freddo), se non si ha la pretesa di coltivare ulivi per produrre olio (o olive), la coltivazione di dette piante a scopo ornamentale penso che sia più che possibile. Pare che gli ulivi, come molte altre specie da frutto, diventino improduttivi o poco produttivi dopo una certa età (60, 100, 200 anni, non ricordo più); per cui che male c’è se i contadini del Sud eliminano, profumatamente pagati, vecchi alberi per piantarne di nuovi?
Ogni altro contributo su questa pianta così ricca di significati storici, religiosi, letterari, ecc., è ben accetto.
Ciao.