Pensa cara Celeste (per inciso son contento di risentirti) che, per motivi che non sto a raccontarti, mi interessava fare proprio una foto del carbone del mais, ma ormai è raro vederne nei campi coltivati (le varietà attualmente coltivate sono resistenti, penso).
Alla fine mi sono ricordato che quando insegnavo negli agrari, roba di trent'anni fa, avevo scattato diapositive a scopo didattico e alla fine riuscii a trovare quello che cercavo. La posto in calce ma devo ammettere che la tua è più bella (...moto d'orgoglio ferito: sarà per via che adesso si lavora in digitale?).
Quel materiale era ottimo per le esercitazioni da dare agli studenti, in quanto la 'polverina nera' in realtà è data da un ammasso di particolari spore del fungo (che si chiama
Ustilago (maydis) zeae), le quali si prestano per una facile identificazione microscopica (metto illustrazione, sempre in calce); dette spore prendono il nome di
clamidospore perchè dotate di un robusto rivestimento (clamide in greco significa mantello), e infatti conservano capacità germinativa per 2-5 anni, inoltre sono in grado di passare indenni attraverso il tubo digerente dei ruminanti ed espandere l'infezione anche con il letame (la diffusione della malattia avviene però grazie ad elementi che germinano da dette clamidospore e che vengono trasportati dal vento, come immaginavi).
Comunque il carbone del mais è un patogeno legato al mais.
Hai fatto bene a lavarti le mani: non che sia pericoloso per contatto, ma è stato trovato che le clamidospore mature contengono una sostanza chiamata
ustilagina, un alcaloide tossico per ingestione, simile a quelli contenuti, meglio che erano contenuti (altro pezzo di storia della patologia vegetale) nella segale o altri cerali malati della c.d. 'segale cornuta', sicché il consumo di farine avariate causava una intossicazione detta
ergotismo (conosciuta, pensa, dall' 857 d.C., cioè quando la fame faceva passar sopra alle farine avariate).
Ciao
Ciao