In alcuni prodotti tracce di melamina. E' la stessa sostanza del latte cinese
RAPHAEL ZANOTTITORINO
La melammina nel latte che sta avvelenando migliaia di neonati cinesi è arrivata anche in Italia. Non in prodotti alimentari consumati dall’uomo. L’Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte ha riscontrato la presenza della resina nociva in alcune scatole di cibo per cani e gatti, i cosiddetti pet food. Su 145 campioni prelevati dagli scaffali dei negozi torinesi, due prodotti sono risultati positivi alle analisi ed è subito partita la segnalazione. Il procuratore vicario di Torino Raffaele Guariniello ha aperto un fascicolo d’inchiesta ipotizzando i reati di commercio di sostanze alimentari nocive e frode in commercio (la melammina viene aggiunta in alcune farine per aumentare fittiziamente il contenuto proteico degli alimenti). Non solo. Ha ordinato una serie di controlli a tappeto paralleli a quelli già predisposti dal ministero della Salute in tutta Italia (i Nas stanno effettuando sequestri in trenta località diverse). L’idea è quella di allargare il più possibile la campionatura sui cibi per animali coinvolgendo i laboratori dell’Arpa, dell’Istituto zooprofilattico e delle facoltà di chimica e veterinaria dell’università.
Se l’allarme per l’uomo è recente dopo lo scandalo del latte in polvere cinese, per gli animali è già scattato da due anni. Tutto ha avuto inizio negli Stati Uniti che, tra il settembre e il dicembre 2006, hanno importato dalla Cina partite di farina di mais e frumento contaminate. Le farine sono state utilizzate dai produttori americani per confezionare cibo per animali domestici. Nel giro di poco, però, negli Usa si è assistito a una strage: sono morti 1950 gatti e 2200 cani. Dai veterinari sono piovute 10.000 segnalazioni per insolite morti di animali domestici dovute a insufficienza renale. In pochi mesi sono arrivate 17.000 lettere di protesta da parte dei consumatori e la Fda (Food and Drug Administration americana) ha ritirato dal commercio intere partite di cibo per cani e gatti. Le analisi hanno confermato il problema: su 750 campioni di farina di mais, 330 risultavano contaminati. E su 85 campioni di proteine di riso, in 27 era presente la melammina.
La Fda americana ha lanciato un allarme contaminazione, ripreso il 2 maggio 2007 dalla Commissione Europea che ha chiesto controlli sulle materie prime agli Stati membri dell’Ue. In Italia le verifiche sono partite dal 23 luglio dell’anno scorso. Per ora non sembra che ci siano pericoli per l’uomo. In un dossier presentato a un recentissimo convegno dell’Istituto zooprofilattico del Piemonte (e acquisito dal procuratore vicario Guariniello) si legge: «Per quanto riguarda la valutazione di esposizione nell’uomo, la Fda ritiene che sia improbabile che l’uomo possa venire in contatto con livelli di contaminazione quali quelli rilevati nei mangimi per animali». La preoccupazione, però, è sulla catena alimentare lunga. Nel dossier emerge la tossicità della malamina non solo per cani e gatti, ma anche per gli ovini.
«Dosi giornaliere di 25 e 50 grammi di melammina a capo - si legge - hanno determinato la morte di soggetti dopo 9 e 7 giorni di esposizione con lesioni renali e abosamali, cistite emorragica e infiammazione dell’intestino cieco. A dosi di 10 grammi, due pecore su tre sono morte entro 31 giorni, con cristalli renali ed edema polmonare». Ma come possono non farsi prendere dal panico proprietari di animali domestici e allevatori? «Rintracciabilità e tracciabilità dei prodotti sono imposti dalla normativa europea - spiega Gandolfo Barbarino, dirigente del servizio veterinario della Regione Piemonte - e tutto ciò che entra nella catena alimentare deve risultare. Ciò non toglie che per gli acquirenti dei cibi resti problematico orientarsi: negli Stati Uniti i prodotti contaminati risultavano made in Usa sulle confezioni, che non contenevano riferimenti ai fornitori cinesi». In Europa si punta su forti vincoli al sistema delle imprese: autocontrolli, tracciabilità, polizze assicurative per rifondere i danni alla salute provocati e contribuzioni per il potenziamento dei controlli pubblici che, se efficaci e tempestivi, rappresentano la miglior prevenzione.
Dopo i controlli sui cibi, ora l’Istituto zooprofilattico piemontese sta approntando un altro tipo di analisi: un monitoraggio autoptico sui decessi di gatti e cani attraverso la rete dei veterinari. È importante capire quali conseguenze può avere l’eventuale contaminazione dei pet food.
La Stampa
RAPHAEL ZANOTTITORINO
La melammina nel latte che sta avvelenando migliaia di neonati cinesi è arrivata anche in Italia. Non in prodotti alimentari consumati dall’uomo. L’Istituto zooprofilattico sperimentale del Piemonte ha riscontrato la presenza della resina nociva in alcune scatole di cibo per cani e gatti, i cosiddetti pet food. Su 145 campioni prelevati dagli scaffali dei negozi torinesi, due prodotti sono risultati positivi alle analisi ed è subito partita la segnalazione. Il procuratore vicario di Torino Raffaele Guariniello ha aperto un fascicolo d’inchiesta ipotizzando i reati di commercio di sostanze alimentari nocive e frode in commercio (la melammina viene aggiunta in alcune farine per aumentare fittiziamente il contenuto proteico degli alimenti). Non solo. Ha ordinato una serie di controlli a tappeto paralleli a quelli già predisposti dal ministero della Salute in tutta Italia (i Nas stanno effettuando sequestri in trenta località diverse). L’idea è quella di allargare il più possibile la campionatura sui cibi per animali coinvolgendo i laboratori dell’Arpa, dell’Istituto zooprofilattico e delle facoltà di chimica e veterinaria dell’università.
Se l’allarme per l’uomo è recente dopo lo scandalo del latte in polvere cinese, per gli animali è già scattato da due anni. Tutto ha avuto inizio negli Stati Uniti che, tra il settembre e il dicembre 2006, hanno importato dalla Cina partite di farina di mais e frumento contaminate. Le farine sono state utilizzate dai produttori americani per confezionare cibo per animali domestici. Nel giro di poco, però, negli Usa si è assistito a una strage: sono morti 1950 gatti e 2200 cani. Dai veterinari sono piovute 10.000 segnalazioni per insolite morti di animali domestici dovute a insufficienza renale. In pochi mesi sono arrivate 17.000 lettere di protesta da parte dei consumatori e la Fda (Food and Drug Administration americana) ha ritirato dal commercio intere partite di cibo per cani e gatti. Le analisi hanno confermato il problema: su 750 campioni di farina di mais, 330 risultavano contaminati. E su 85 campioni di proteine di riso, in 27 era presente la melammina.
La Fda americana ha lanciato un allarme contaminazione, ripreso il 2 maggio 2007 dalla Commissione Europea che ha chiesto controlli sulle materie prime agli Stati membri dell’Ue. In Italia le verifiche sono partite dal 23 luglio dell’anno scorso. Per ora non sembra che ci siano pericoli per l’uomo. In un dossier presentato a un recentissimo convegno dell’Istituto zooprofilattico del Piemonte (e acquisito dal procuratore vicario Guariniello) si legge: «Per quanto riguarda la valutazione di esposizione nell’uomo, la Fda ritiene che sia improbabile che l’uomo possa venire in contatto con livelli di contaminazione quali quelli rilevati nei mangimi per animali». La preoccupazione, però, è sulla catena alimentare lunga. Nel dossier emerge la tossicità della malamina non solo per cani e gatti, ma anche per gli ovini.
«Dosi giornaliere di 25 e 50 grammi di melammina a capo - si legge - hanno determinato la morte di soggetti dopo 9 e 7 giorni di esposizione con lesioni renali e abosamali, cistite emorragica e infiammazione dell’intestino cieco. A dosi di 10 grammi, due pecore su tre sono morte entro 31 giorni, con cristalli renali ed edema polmonare». Ma come possono non farsi prendere dal panico proprietari di animali domestici e allevatori? «Rintracciabilità e tracciabilità dei prodotti sono imposti dalla normativa europea - spiega Gandolfo Barbarino, dirigente del servizio veterinario della Regione Piemonte - e tutto ciò che entra nella catena alimentare deve risultare. Ciò non toglie che per gli acquirenti dei cibi resti problematico orientarsi: negli Stati Uniti i prodotti contaminati risultavano made in Usa sulle confezioni, che non contenevano riferimenti ai fornitori cinesi». In Europa si punta su forti vincoli al sistema delle imprese: autocontrolli, tracciabilità, polizze assicurative per rifondere i danni alla salute provocati e contribuzioni per il potenziamento dei controlli pubblici che, se efficaci e tempestivi, rappresentano la miglior prevenzione.
Dopo i controlli sui cibi, ora l’Istituto zooprofilattico piemontese sta approntando un altro tipo di analisi: un monitoraggio autoptico sui decessi di gatti e cani attraverso la rete dei veterinari. È importante capire quali conseguenze può avere l’eventuale contaminazione dei pet food.
La Stampa